• Ven. Mar 29th, 2024

Afghanistan, il grido disperato delle donne

Sono settimane che non si riesce a prendere sonno pensando a quanto dolore stia ingoiando il popolo Afghano. Uno strazio indescrivibile leggere negli occhi dei bambini rimasti lì, in preda alla disperazione, molti smarriti, altri fissi nel vuoto.

Inoltre come si può fare finta di nulla dopo aver visto e rivisto il coraggio delle donne Afghane, che non si arrendono e scendono in piazza per urlare che i loro diritti non siano più calpestati. Non possiamo e non dobbiamo ignorare le manifestazioni di coraggio che stanno portando avanti le donne Afghane! Donne che prima ad Herat e poi a Kabul sono scese nelle strade presidiate dai talebani armati, protestando per chiedere il diritto all’istruzione, al lavoro ed alla sicurezza. Gridano: “È un nostro diritto avere istruzione, lavoro e sicurezza. Non abbiamo paura, siamo unite”.

Ciò che sta accadendo non deve lasciare indifferente il resto del mondo! Sono proprio loro, le donne che Shaharzad Akbar definisce ‘Sheroes’, che stanno insegnando alle donne del resto del mondo che non si soccombe alle ingiustizie, la lotta ai diritti umani va nutrita a costo di tutto. Un silenzio a cui non voglio associarmi, dando oggi voce a una drammatica attualità che ha investito proprio le donne Afghane.

A raccontarmi quanto sto per pubblicare è M.N. una attivista che persino mentre scrivo adesso è in serio pericolo. Una narrazione dei residenti della provincia di Sar-e-Pul, un vero e proprio disastro per le ragazze non sposate.

“I talebani hanno dato l’ultimatum alla popolazione locale da due settimane a un mese per sposare le ragazze single in cambio di 250000 Afs (2.500€ circa),  a chiunque ritengano opportuno altrimenti i combattenti talebani si sposeranno con la forza dando lo stesso importo”.

Tutte le donne che vivevano nella casa sicura nella provincia di Farah sono state restituite con la forza alle loro famiglie.  Queste donne sono le più vulnerabili, che devono essere trasferite fuori dall’Afghanistan il prima possibile.  Perché qualora non vi fosse pericolo per loro da parte dei talebani, saranno uccise dalle loro stesse famiglie.

“Sono M. N., e qualche giorno fa dove vivo, quando non ero in casa, alcuni talebani hanno perquisito le case.  Quando sono arrivati ​​a casa nostra, avevano già le mie informazioni e mi stavano cercando. Fortunatamente non ero in casa in quel momento e sono stata avvisata così da non tornarci per la mia incolumità. Sono così andata in un altro posto per la mia sicurezza.  Non posso uscire nemmeno per fare la spesa ed anche se lo faccio raramente per pane e cibo di prima necessità, indosso il burqa.  La situazione è terribile e riceviamo notizie preoccupanti, alcune delle quali ti ho detto prima.  Spero che queste notizie siano condivise con il resto del mondo”.

Ed ancora, prosegue terrorizzata dicendo: “Non sono sicura di chi tra i  talebani avesse le mie informazioni ma immagino che possa averle avute tramite i miei colleghi. Questo perché quando lavoravo nell’ufficio del presidente, alcuni di loro avevano problemi con i miei metodi e il mio modo di pensare, e mi dicevano che tali comportamenti, gesti o  azioni non erano buone per una ragazza”. 

M.N. ancora non riesce a capire come si siano potute diffondere tali informazioni, non è rilevante se talebani o meno, unica certezza è che la riconoscerebbero ed hanno una sua foto. Dunque una vera e propria vergognosa e ulteriore dimostrazione di azzeramento di qualunque diritto per le donne Afghane, soprattutto per coloro residenti della provincia di Sar-e-Pul.

Le donne che si erano rifugiate nella provincia di Farah, in una ‘casa rifugio’, così definita proprio a causa dell’allontanamento dalla casa d’origine per problemi familiari, si ritrovano svendute, trattare come merce e oggetti su cui vi è predominio da parte degli uomini. Con la caduta del Paese, questi uffici, queste case rifugio sono stati chiuse e le ragazze che vi abitavano sono state restituite alle loro famiglie.

“Le ragazze del centro hanno avuto problemi con le loro famiglie, una delle ragazze che conosco si è lamentata con suo padre di essere stata violentata”. Prosegue ancora N.M. che attualmente non riceve più notizie da queste donne, abbandonate dal mondo al loro macabro destino.

Dobbiamo dunque ribellarci a questo scempio, a questo perpetuo calpestio di diritti, a queste sorde risposte da parte di tutti i Paesi che si rendono complici quando si voltano dall’altra parte, quando fingono di non sapere cosa realmente stia accadendo, quando sfilano durante manifestazioni pro diritti umani e poi non si attivano affinché dalle parole si passi ai fatti. Che la terra si rigenerasse grazie alla linfa insita nel respiro delle donne, la storia lo insegna e lo ricorda da secoli ma quella stessa linfa va nutrita e supportata da catene fatte di umanità e manifestazioni di indignazione soprattutto rispetto a quanto sta accadendo in Afghanistan. Sheroes non deve diventare una etichetta su cui scrivere e descrivere un coraggio rosa su cui si sta fondando la risposta femminile Afghana alla violenza ed all’assenza di diritti odierna, ma uno slogan mondiale da imitare e far proprio attraverso azioni e cambiamenti concreti.

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Di Annamena Mastroianni

Docente. Media Educator. Formatrice.

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