L’espressione “Re Travicello”, usata in senso dispregiativo per indicare un gerarca che non è in grado di esercitare la sua autorità per debolezza o inadeguatezza, trae origine da una favola di Fedro attribuita però ad Esopo.
In essa si racconta di un gruppo di rane che, stanche della propria autonomia nel muoversi negli stagni paludosi, chiedono a Zeus di poter avere un re che possa educarle ad una vita più regolare.
Zeus asseconda l’insolita e bizzarra richiesta e invia nello stagno un pezzo di legno nominandolo re, Re Travicello appunto.
Dopo un reverenziale timore iniziale, le rane scoprono che il loro monarca non brilla per iniziativa, sta sempre fermo e si limita a galleggiare e a nulla servono i loro saltelli su di lui e le ingiurie che gli rivolgono: Re Travicello non ha alcuna reazione.
Le rane allora si lamentano con Zeus chiedendo un sovrano più attivo e autoritario, e soprattutto intraprendente. Di pronta risposta, il re degli dei invia loro una serpe che presto, assecondando la sua naturale predisposizione, le divora spietatamente graziandone solo alcune che invocano pietà sperando di scampare ad una predestinata ed inevitabile fine.
Zeus, nella sua ferma decisione, ricorda alle rane imploranti come il precedente sovrano le avesse in realtà deluse con la sua apatica bontà, motivo per il quale esse avrebbero dovuto ora accettare un re malvagio.
L’insegnamento morale che Fedro ci trasmette in questa particolare favola è che un monarca o un capo inetto ma innocuo è molto meglio rispetto ad uno capace ma cinico, che con la sua crudeltà può rivelarsi pericoloso.
In una visione più ampia, ciò che possiamo imparare dal suddetto racconto è che la pazienza e la tolleranza in una situazione complicata può rivelarsi la strada giusta se l’alternativa e il cambiamento rischiano di peggiorare lo stato delle cose.