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Cold case. Il delitto di Santa Gertrude

La misteriosa morte della Perpetua di Bolzano Maria-Luise Pfliri

Il femminicidio Steinkasserer

Cosa accadde realmente a Bolzano nella canonica della chiesa parrocchiale di Santa Gertrude, nella notte tra il 6 ed il 7 novembre del 1973?
Una domanda che tutt’oggi purtroppo resta senza risposta.
Proveremo a dar luce alla vicenda, cercando di ricordare una donna, Maria Luise Pfliri, che non ha ancora oggi, ottenuto giustizia.

Era l’una del mattino del 7 novembre del ’73 quando le urla del prevosto don Josef Steinkasserer, svegliarono il sacrestano della parrocchia di Santa Gertrude, Johann Bertagnolli.

Egli gridava di aver subito una rapina e di raggiungerlo alla canonica.

Una volta raggiunta, furono entrambi scioccati dalla visione del cadavere, riverso su un fianco, della sessantaquattrenne Maria-Luise Pfliri, vedova Platzgummer, immobile, accanto al suo letto.

Una camera in disordine ed il cadavere della vittima che presentava da subito vistose ferite ed ecchimosi su tutto il corpo.

La donna era seminuda, imbavagliata e fu palese che l’assassino utilizzò delle tende strappate alle finestre per legarle mani e piedi.

Dopo tale raccapricciante visione i due avvisarono i Carabinieri di Proves che arrivarono dopo più di un’ora perché bloccati dalla neve.

Don Steinkasserer dichiarò agli inquirenti di essersi svegliato verso mezza notte a causa di alcuni rumori sospetti.

Si alzò, cominciò ad ispezionare le stanze attigue alla sua fino a giungere alla canonica, dove trovò due uomini di corporatura robusta, completamente vestiti di nero.

Riuscirono ad introdursi nell’abitazione rompendo una finestra, raccontò ed una volta scoperti lo avrebbero aggredito, dopo avergli puntato una pistola.

Il sacerdote tentò di divincolarsi, riuscendo anche a farli scappare e lanciando contro di loro una brocca piena di acqua.

Una volta messi in fuga i malviventi, si direzionò verso la camera della perpetua per verificare stesse bene, trovandola però già morta.

Chiamò aiuto solo dopo ben 20 minuti dichiarando, successivamente, di aver atteso perché lo shock fu tale da pietrificarlo.

Una sensazione che evidentemente lo abbandonò una volta giunti i carabinieri visto che, con la loro presenza, riuscì addirittura ad indicare lo sfondamento di parte della recinzione che circondava la casa ed a consegnare sia un cappello perso proprio da uno dei malviventi che il portafoglio della perpetua ritrovato completamente vuoto.

Una versione, quella del prevosto, subito messa in discussione dal pubblico ministero Domenico Cerqua e dal capitano dei Carabinieri Arno Mandolesi che condussero le indagini.

Le prime risposte arrivarono dopo l’autopsia eseguita sul corpo della donna appena due giorni dopo che accertò il decesso sopravvenuto né per percosse, né per crisi cardiaca come ipotizzarono in tanti, bensì per soffocamento.

Asfissia compiuta con un cuscino rinvenuto sulla scena del crimine completamente sgualcito, premuto per alcuni minuti sul viso.

Inoltre si verificò che le tende con cui fu legata non erano così strette da riuscire ad immobilizzare una persona.

Oltretutto sia Mandolesi che Cerqua trovarono alquanto singolare che i malviventi avessero ucciso la testimone di una ipotetica rapina, risparmiando invece il prete, testimone di un omicidio.

Un testimone che aveva raccontato di essersi difeso da assassini con una semplice brocca d’acqua.

Fu anche appurato che i cocci del vetro della finestra che, a detta di Steinkasserer, era stata infranta per penetrare nell’abitazione, furono rinvenuti all’esterno e non all’interno della casa.

Strano? Sicuramente le incongruenze sono innumerevoli.

Lo sfondamento della staccionata si presentava sproporzionato rispetto alla presunta fuga di due uomini a piedi.

Poi il cappello perso dagli ipotetici aggressori, a detta di alcuni testimoni, era molto simile a quello indossato già tempo addietro dal prete.

Da alcuni rilievi nella abitazione dove trovò la morte di Maria-Luise Pfliri, si scoprirono numerosi editoriali pornografici letti, per sua stessa ammissione, da don Steinkasserer.

A riempire il cestino dei rifiuti ben ventiquattro bottigline di amaro Undemberg: era forse ubriaco il prevosto?

Immediata l’ipotesi che si fosse prima ubriacato, successivamente avesse tentato di adescare la perpetua ed una volta respinto, avrebbe reagito tentando di violentarla e, nella colluttazione, l’avrebbe uccisa.

Quasi scontato che il religioso già il 7 novembre fu indiziato di omicidio volontario e simulazione di reato e solo due giorni dopo la procura della Repubblica di Bolzano ne dispose la custodia cautelare in carcere.

Decisioni prese perché sulla brocca che il sacerdote aveva raccontato di aver scagliato contro i delinquenti, vi erano tracce ematiche riconducibili solo alla Platzgummer. Nessuna altra impronta.

A insinuare invece ulteriori dubbi sulla sua colpevolezza fu il materiale ematico
repertato sotto le unghie della vittima di gruppo sanguigno diverso rispetto a quello del prete.

Tutta la comunità parrocchiale dunque si schierò per la sua innocenza.

Al tempo stesso intimidiva la scrittrice e politica Maria Luise Maurer perché sostenitrice della colpevolezza di Steinkasserer tanto che nel 1989, dopo aver raccolto la sua ricostruzione dei fatti,
pubblicò un romanzo dal titolo ‘Il Cappello Nero”.


Successivamente, don Josef Steinkasserer, fu prosciolto da ogni accusa per insufficienza di prove, morendo un giovedì sera del 2010 a settantuno anni.


Lasciò questo mondo portando con sé, nella tomba la verità sulla morte di una donna che dopo la perdita di suo marito aveva deciso di dare tutta se stessa alla comunità ecclesiale ed alla comunità tutta.


La stessa comunità che non perse tanto tempo a cercare il criminale che spezzò la sua vita ma ne impiegò tanto per scagionare il presunto assassino.

Di Annamena Mastroianni

Docente. Media Educator. Formatrice.