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EST-endiamo gli Orizzonti: Perché i film sul Kung Fu ci piacciono così tanto?

Kung Fu, perchè i film che ne parlano ci piacciono così tanto. 23 dicembre 1973: i cinema italiani proiettano, per la prima volta in assoluto, la pellicola che sarà ricordata come uno dei film sulle Arti Marziali più iconici e rappresentativi del genere di sempre.

Stiamo parlando de “I 3 dell’Operazione Drago” (Longzheng Hudou龙争虎斗), rilasciato negli Stati Uniti d’America con il nome di “Enter the Dragon”. Questo film non solo ebbe il merito di costituire il “punto culminante di una mania per il Kung Fu di portata globale” (alla quale aveva contribuito, negli anni ’60, una maggiore apertura alle relazioni con il sud-est asiatico da parte degli Stati Uniti d’America), ma fece anche sì che l’attore, regista, produttore e shifu Bruce Lee entrasse nell’immaginario collettivo mondiale come leggenda delle arti marziali.

Longzheng Hudou racconta la storia di Lee, un maestro di Kung Fu di Hong Kong che viene convinto dai servizi segreti britannici a partecipare ad una competizione di arti marziali per poter indagare sulle attività criminali di Han, ex monaco buddhista ora dedito ad attività criminali; il suo carattere innovativo sta proprio nella combinazione dell’elemento dei combattimenti corpo a corpo con situazioni tradizionalmente appartenenti più al genere poliziesco.

Potrebbe sembrare quasi un paradosso affermare che il film che ha garantito una tale fama immortale al “piccolo drago Li” (questo è il significato letterale del nome Li Xiaolong 李小龍, con cui egli è noto in Cina) sia stato anche l’ultimo a cui l’attore abbia mai lavorato e che, anzi, egli fosse già tragicamente scomparso cinque mesi prima dell’uscita di questo nelle sale italiane, il 20 luglio dello stesso anno. Eppure, non si può negare l’influenza che la grazia e la velocità dello stile di combattimento mostrato all’interno del film, il Jeet Kune Do (Jiequan Dao 截拳道, “La via del colpo che intercetta”,  di cui Lee stesso fu il creatore), ebbero sul realismo nei film futuri delle scene di combattimento basate sul Kung Fu.

L’influenza più grande, però, fu quella esercitata sulla cultura popolare e sulla vita di tutti giorni di ogni individuo, e tale è rimasta immutata fino ai giorni nostri. A chi non è mai capitato, pur inconsciamente, che una delle prime cose balzate alla mente, parlando di Cina, fossero proprio le pose di guardia assunte dai combattenti Shaolin 少林 (che associamo spesso ai monaci del famoso omonimo tempio, ma la realtà è un po’ più complessa)? E, mentre si giocava a fare la lotta da bambini, di sferrare un colpo urlando il famoso “WATAH” (nient’altro che una traslitterazione della frase Wo da 我打, “Io colpisco”)?

Ma cos’è che ci attrae così tanto nei film di Arti Marziali, al punto da spingerci a guardare con entusiasmo ad attori come Jackie Chan, Jet Li, Donnie Yen come eroi e a volerli imitare? La prima risposta che il sottoscritto si sente di dare, innanzitutto, è quella sensazione di sicurezza di sé che i movimenti da questi ultimi impiegati in combattimento suscitano. È importante dire che tutti gli attori nominati prima, per motivi principalmente coreografici, non traggano esclusivamente le loro tecniche da un singolo stile di combattimento “puro”, e lo stesso fatto che il Jeet Kune Do tragga spunti addirittura da discipline occidentali come la Boxe o la scherma ne è la dimostrazione.

Tra gli stili che hanno più influenzato gli attori troviamo:

  • Lo stile Wing chun/Wing tsun e simili (In mandarino, Yongchun quan 咏春拳), che Bruce Lee studiò da giovane sotto la guida del maestro Yip Man 叶问. Secondo la leggenda, esso fu creato in epoca Qing (1644-1911) da Ng Mui, dopo aver osservato un combattimento che avveniva tra una gru ed un serpente. La caratteristica principale dello stile è il meccanismo di difesa, basato sul ridirezionamento della potenza dei colpi inflitti dall’avversario, e la distribuzione equa del peso del corpo (proiettato leggermente in avanti) sulle gambe affinché sia conferita maggiore stabilità nel colpire e nel difendersi;
  • Lo stile Tai ji 太极, anche trascritto come Tai chi (Taiji quan 太极拳). Secondo la tradizione, esso fu creato da Zhang Sanfeng, monaco Taoista vissuto durante l’epoca Song (960-1279). Il Tai ji fa parte degli stili di combattimento basati sul Qigong e, in quanto tale, sulla convinzione per cui, affinché il corpo fisico possa manifestare la sua massima potenza, occorra padroneggiare lo spostamento dell’energia interna del corpo umano, il Qi 气;
  • I già nominati stili Shaolin. In realtà, il termine fa riferimento al monastero buddhista di Shaolin, situato sul monte Song, nella provincia dell’Henan. Esso fu fondato dal monaco indiano noto col nome di Batuo alla fine del V secolo, durante il regno dell’imperatore Xiao Wen dei Wei settentrionali (386-584). Col tempo, il nome ha finito per essere associato con i vari stili di combattimento insegnati in loco e nelle scuole del territorio. La parola Shaolin, quindi, dovrebbe essere considerata come un termine ombrello che racchiuda più sottocategorie di arti marziali;
  • Arti marziali provenienti addirittura da paesi dell’Asia dell’Est che non siano la Cina, quindi Karate e Judo dal Giappone, Hapkido e Taekwondo dalla Corea, ecc. 

Il secondo motivo per cui proviamo tanta attrazione nei confronti dei film sul Kung Fu è che i loro protagonisti (e così gli attori che li interpretano) hanno una totale padronanza delle loro emozioni. Sebbene il fatto che un insieme di tecniche di attacco e difesa personale per il combattimento possa avere un tale impatto positivo sull’autocontrollo della persona (così come potrebbe sembrare strano che Monaci Buddhisti apprendano ed impartiscano arti marziali, nonostante tra i pilastri dell’etica Buddhista rientri anche l’Ahiṃsā, ovvero l’assoluta “non violenza”) appaia come una contraddizione, in realtà ciò è possibile grazie al rigoroso lavoro di conoscenza di sé stessi compiuto attraverso la meditazione. Questa pratica, affiancata con regolarità agli allenamenti, può accrescere la capacità di collegare il proprio mondo interiore a tutto ciò che concerne il mondo di tutti i giorni. Man mano che i rispettivi lati della conoscenza di questi due mondi diventano sempre più interconnessi e la consapevolezza dell’allievo di ciò che lo circonda è affinata, egli acquisisce l’autodisciplina e la forza di volontà necessarie a controllare le sue risposte istintive agli stimoli esterni e alle emozioni, persino nelle situazioni più psicologicamente impegnative.

Il monastero Shaolin 少林 (Immagine a licenza libera d’utilizzo, fonte: Wikipedia)

Fonti:

  • Bellinger Gerhard J., Felici Lucio (edizione italiana a cura di), Enciclopedia delle Religioni, Milano: Garzanti Libri S.p.A., 2004;
  • Bowman Paul, Theorizing Bruce Lee: Film-Fantasy-Fighting-Philosophy, Amsterdam, New York, NY: Editions Rodopi, 2010;
  • Cai Liuhai, Shaolin Kung-fu, Zhengzhou: Henan Fine Arts Publishing House, 1992;
  • Chu Robert, Ritchie Rene, Wu Y., Complete Wing Chun: The Definitive Guide to Wing Chun’s History and Traditions, North Clarendon, 1998;
  • Lee Bruce, Tao of Jeet Kune Do, Valencia (CA): Black Belt Communications, 2011;
  • Per ulteriori informazioni sulla meditazione e sugli effetti che essa ha sul corpo umano: https://kungfuforlife.ca/blog/the-art-of-kung-fu-meditation.
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Di Francesco De Dominicis

Classe 1995, Francesco De Dominicis è specializzato in Lingue e Civiltà Orientali all'Orientale di Napoli. Tra un articolo e l'altro, adora guardare vecchi film del cinema cult, scrivere racconti e canzoni e strimpellare strumenti vari.

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