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EST-endiamo gli Orizzonti: Gli Hanzi 汉字/漢字, un’eredità dal valore inestimabile

wood landscape beach vacationPhoto by Arif Syuhada on <a href="https://www.pexels.com/photo/wood-landscape-beach-vacation-5181155/" rel="nofollow">Pexels.com</a>

Diciamoci la verità: risulta difficile non provare un senso di curiosità, anche minima, mentre si osservano le forme, talora morbide e sinuose, talora aspre e spigolose, dei caratteri appartenenti alla scrittura di un paese straniero che non utilizza l’alfabeto latino. I caratteri cinesi, in particolar modo, sono spesso ammirati per l’alone di mistero e di esoticità che riescono ad emanare; la scelta di questi come elemento estetico è dettata dalla conoscenza comune per cui siano la rappresentazione grafica di un elemento o di un concetto “ideale”, ragion per cui sono indicati dai più col nome di “pittogrammi” o “ideogrammi”. In realtà, ci si stupirà di sapere che queste parole, pur essendo spesso impiegate erroneamente per indicare i più di 85.000 simboli appartenenti alla lingua cinese, in realtà stiano ad indicare solo una più piccola parte di essi. Sarebbe corretto parlare di questa totalità utilizzando, invece, il termine “sinogrammi” (Letteralmente: “Segni grafici del sistema di scrittura Cinese”, in cinese Hanzi 汉字/漢字), sebbene anche la lingua giapponese faccia utilizzo di essi (col nome di Kanji 漢字), così come quella coreana e vietnamita in passato.

I sinogrammi hanno un’origine antichissima. Sebbene reperti archeologici di epoche precedenti mostrassero già l’incisione di evoluti simboli grafici, i primi ritrovamenti a documentare con certezza l’esistenza di un sistema di scrittura coerente furono le cosiddette jiagu 甲骨 (“ossa oracolari”), la cui datazione viene fatta risalire alla seconda metà di epoca Shang 商 (1570 – 1045 a.C.). Queste ossa animali di rilevante ampiezza (carapaci di tartaruga, ma anche scapole bovine), quando impiegati all’interno di pratiche sciamaniche per interrogare le divinità, erano posti a riscaldare su bracieri. Un indovino veniva, poi, incaricato di interpretare le crepe e, a partire da esse, esprimere un responso che veniva poi inciso sull’osso stesso.

Magda Abbiati, docente di Lingua e Letteratura cinese presso l’Uni­ver­sità Ca’ Foscari di Venezia, sostiene che i simboli di tarda epoca Shang costituissero parte di un sistema di scrittura pienamente sviluppato, e che i caratteri (intesi come unità linguistiche complete) abbiano avuto origine quando, nella lingua di uso comune, si è cominciato ad associare sistematicamente questi segni grafici a suoni e significati precisi (non solo in quanto tentativo della creazione di un riferimento universale nella trasmissione dei responsi divinatori). I caratteri sulle iscrizioni oracolari (in seguito, reperibili anche su vasi in bronzo) si fecero sempre più complessi, dal momento che la creazione di una sistema di credenze religiose e spirituali, idee filosofiche e cosmologiche, norme morali, rituali (si dedicherà un articolo a discutere di cosa si intenda, qui, per “rito”) e sociali sempre più complesso, comportò la necessità di trovare un modo per permettere la rapprentazione, oltre che di entità meramente fisiche, anche di concetti astratti. Xu Shen許慎 (58-148 d.C.), politico della dinastia degli Han orientali (25-220 d.C.), all’interno del dizionario Shuowen Jiezi identifica sei tipi di caratteri:

  • “Simboli concettuali” o “Ideogrammi”. I caratteri per “sopra” e “sotto” (rispettivamente, 上 e 下), nella loro somiglianza a dita che indicano nelle rispettive direzioni, ne sono un esempio perfetto;
  • “Simboli di forma”, o “pittogrammi” nel linguaggio comune:  si pensi al carattere per “fuoco”, che ha questo aspetto 火;
  • “Simboli semantico-fonetici”. Combinano la categoria semantica della parola in questione con un elemento fonetico: ad esempio, jing 景 (“scenario”) è composto dal radicale 日 di “sole/luce” e l’elemento 京 (letto jing), il quale ne determina e ne influenza la lettura;
  • “Unioni di significati”: a partire dai singoli elementi concettuali o di forma, riescono a rappresentare concetti più complessi. Tre 木 (“albero”), ad esempio, formano il carattere 森 che indica una foresta;
  • “Pseudosinonimi”: alcuni caratteri, probabilmente, in origine presentavano due significati diversi, ma semanticamente correlati. L’evoluzione della lingua avrebbe assegnato, poi, il loro secondo significato ad altri caratteri simili creati successivamente. Ad esempio, il carattere目, un tempo portatore dei significati “occhio” e “vedere”, ha conservato solo il primo di essi mentre, per “vedere”, è stato adottato il carattere見;
  • “Prestiti fonetici”, ovvero la semplice assegnazione di un segno grafico esistente (con altro significato) ad un concetto, indicato con un termine foneticamente simile, ma senza un’identità grafica. Questo è il motivo per cui Zu 足 indica sia il “piede” che il concetto di “sufficiente”.

Fu grazie all’adozione di dizionari approvati dal governo imperiale, proprio come il già nominato Shuowen Jiezi, o addirittura ordinati dallo stesso, proprio come il Dizionario ordinato dall’Imperatore Kangxi 康熙 in epoca Qing, nel 1710, che i caratteri raggiunsero la forma generale che avrebbero mantenuto fino alla metà del XX Secolo, processo favorito anche dall’introduzione della stampa  su larga scala nei secoli XVI-XVII.

Un’altra delle più radicali trasformazioni del sistema di scrittura cinese ebbe luogo, nel corso della Storia Contemporanea, con la semplificazione dei caratteri da fantizi 繁体字 (“Caratteri cinesi non semplificati”) a jiantizi 简体字 (“Caratteri cinesi semplificati”), che nella Cina continentale fu avviata con le riforme emanate tra il 1956 e il 1964. Si trattava di una serie di cambiamenti operati sulla scia della riforma di semplificazione dei Kanji già avvenuta in Giappone a partire dal 1946, ma, a differenza di quest’ultima, molto più incisivi ed estensivi. A Taiwan, invece, continuano tuttora ad essere impiegate le forme non semplificate dei caratteri.

Sebbene le forme semplificate siano composte da un numero inferiore di tratti, una cosa è certa: non hanno perduto il loro misterioso fascino.

Fonti:

  • Abbiati Magda, Guida alla lingua cinese, Roma: Carrocci Editore, 2008;
  • Boltz William G., The origin and early development of the Chinese writing system, New Haven: American Oriental Society, 1994;
  • Campbell George L.& Moseley Christopher, The Routledge Handbook of Scripts and Alphabets, Abingdon, Oxon/New York: Routledge & CRC, 2012;
  • Vogelsang Kai, Colla Umberto (traduzione di), Cina. una storia millenaria, Torino: Giulio Einaudi Editore s.p.a., 2014.
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Di Francesco De Dominicis

Classe 1995, Francesco De Dominicis è specializzato in Lingue e Civiltà Orientali all'Orientale di Napoli. Tra un articolo e l'altro, adora guardare vecchi film del cinema cult, scrivere racconti e canzoni e strimpellare strumenti vari.

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