• Gio. Mar 28th, 2024

¨Il 4 aprile 1978 arriva in Italia Goldrake, e il mondo dei cartoni non sarà più lo stesso

Spiegare cosa fu l’arrivo di Goldrake in Italia alla fine degli anni 70 non è cosa facile. Basti immaginare che prima dell’opera del maestro Go Nagai, mai niente di simile si era visto in questo Paese. Si, i fumetti americani avevano già invaso le nostre edicole, ma la TV, quella che all’epoca prevedeva solo 2 canali (Rai 3 nasce nel 1979) mai aveva visto un’epopea eroica di queste dimensioni.

La storia è semplice: un principe (Duke Fleed, in Italia lo conosceremo come Actarus) scappa dal suo pianeta natale con l’arma più potente della sua società quando ormai tutto è perduto e si rifugia sulla terra dove vive come un ragazzo normale. Purtroppo però il suo destino lo insegue e Re Vega (il capo dell’armata spaziale che vuole conquistare la galassia) riesce a trovarlo e, allora, inizia una guerra anche contro il Pianeta Terra, che è molto indietro dal punto di vista tecnologico, rispetto a Fleed (il pianeta di Duke) e ha solo Goldrake come arma di difesa.

Per la prima volta sbarca in Italia la visione eroica del Giappone, l’idea dell’eroe che si “immola” per la salvezza dell’umanità. Un uomo all’interno di un robot alto 30 metri che combatte mostri meccanici grossi altrettanto mandati da una tecnologia aliena. Un’assoluta novità.

Goldrake suscitò un terremoto in un’intera generazione, alle 19.20, tutti i giorni, l’Italia dei giovani si fermava(ma anche meno giovani, mio padre, all’epoca trentenne, per esempio lo guardava con me e mi portò al cinema a vedere i film diverse volte).

Adesivi, album, giocattoli, cuscini, coperte, gomme da masticare, tazze, portapastelli, cartelle per la scuola, palloni, vestiti da carnevale. Goldrake invase la nostra società, e anche i nostri sogni, cambiando per sempre l’immaginario di una generazione che si sarebbe, poi, identificata, per il resto dei suoi giorni in quell’eroe, sognando di salire su un disco volante e di volare nello spazio.

In Goldrake c’era tutto quello di cui si ha bisogno quando si vuole una storia: l’epopea, i toni da tragedia shakespeariana, la psicologia dei personaggi, i cavalieri, l’arme e gli amori e – soprattutto – la nostalgia del futuro. Atlas Ufo Robot finisce come deve finire, dopo 74 puntate: Duke Fleed (Actarus) sconfigge l’impero di Vega, libera l’intera galassia, torna a casa e lì è invecchiato, abbandonandoci al nostro destino televisivo e consegnandoci ad altri eroi che non valevano una sua sola unghia.

Purtroppo questo straordinario fenomeno non fu compreso all’epoca. Infatti, i bacchettoni di cui questo Paese era pieno anche allora, si scagliarono contro questo tipo di cartoni animati. Li giudicarono diseducativi, violenti, poco adatti ai bambini. Si diffusero leggende metropolitane che un bambino nell’intento di imitare Actarus si era buttato giù da un palazzo. Ma noi continuavamo a guardarlo, a sognare con lui. Nonostante i genitori manifestassero qualche perplessità, alle 19:20 eravamo tutti davanti alla TV, pronti a tifare per Actarus, Alcor, Venusia e Maria.

Ma questo non bastò ai “bacchettoni” nostrani, dovevano andare fino in fondo, e il caso arrivò in Parlamento, ci fu un’interrogazione parlamentare, nel 1981, dove la deputata Faccio cita Mazinga e poi l’onorevole Cicciomessere Goldrake, definendoli “programmi diseducativi”.

E fu così, che alla metà degli anni 80, Goldrake e co. scomparvero dalla TV di stato, che ci mostrava la diretta di un bambino morente intrappolato in un pozzo, ci mostrava le guerre, ci mostrava donne scosciate che ballavano “allegramente”, ma Goldrake no, non era educativo per noi.

Un importante giornalista italiano, Nantas Salvalaggio, si scagliò con una filippica lunghissima contro gli “anime” (termine non conosciuto all’epoca) confondendo, tra l’altro, il fumetto antecedente (erotico e pieno di violenza) con il cartone animato (per approfondire cliccate qui). Anni dopo ho avuto il piacere (o il dispiacere) di conoscere tale giornalista (che fomentò la politica affinché intervenisse), io avevo 29 anni, lui 80, avrei voluto dirgli di tutto, ma non me la sono sentita di inveire contro un vecchio signore, che ormai non ricordava più neanche l’accaduto.

Ma questa privazione non ci fermò, anzi, privandocene trasformarono Goldrake in un mito senza tempo, e io stesso, ma tanti della mia generazione (la Goldrake Generation, appunto), l’ho cercato, collezionato, raccolto, bramato. Ho cercato di trasmettere anche ai miei nipoti il grande messaggio di questo straordinario prodotto che cambio in maniera così forte il nostro mondo.

Quella “privazione” ha fatto diventare Goldrake la più grande e conosciuta icona della cultura POP, quella cultura tanto decantata e che Steven Spielberg ci racconta in questi giorni con il suo Ready Player One. Un mito immortale.

Oggi, dopo 40 anni, tanti di quei bambini ormai cresciuti ancora guardano il cielo con uno strano sorriso, sognando ancora di essere uno di quelli che “tra le stelle sprinta e va”, si, perché alla fine, anche dopo 40 anni, Goldrake è vivo e lotta insieme a noi.

Nei panni del “vecchio NERD” ho realizzato uno speciale di 20 minuti, dove vi racconto la storia di questo straordinario prodotto dell’animazione giapponese che ha cambiato per sempre il mondo dei giovani italiani.

Sapete che Goldrake non è il nome originale? Sapete che nessuno dei nomi della serie è quello dell’idea originale? Sapete che nella serie c’è Koji Kabuto, leggendario pilota del Mazinga Z?

Questo e molte altre curiosità vi racconto in questo video, visto già da quasi 30mila persone.

Ora vi saluto, “Agganciamento!”

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Di Thomas Scalera

Il Guru

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