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Il Confucianesimo: Tutto quello che avreste sempre voluto chiedere

Cos’è il Confucianesimo? Breve storia di come Confucio (551-479 a.C.) fondò una delle tradizioni filosofiche più influenti dell’Asia orientale.

Non è un segreto che, negli ultimi anni, lo studio delle lingue dell’Asia orientale abbia goduto di un notevole incremento di popolarità. Qualunque persona, decidendo di voler approfondire una di esse, si troverà inevitabilmente ad esplorare la cultura che ne è alla base.

Altro termine per indicare l’area culturale dell’Asia orientale è Sinosfera. Questa parola sta ad indicare l’insieme dei paesi sui quali la cultura cinese ha esercitato la sua influenza in modo diffuso nel corso della Storia.

La Sinosfera è il motivo per cui Confucio (551-479 a.C.), figura rappresentativa della cultura cinese, è conosciuto anche nei paesi vicini, come Giappone, Corea e Vietnam. Il sistema di norme che circonda la tradizione a cui egli è associato, il Confucianesimo (Rujia 儒家), in passato, è stato addirittura alla base dell’organizzazione politica di ognuno di questi.

Ritratto di Confucio di epoca Yuan (1279-1368 d.C.) – Fonte: Wikipedia Italia

Cos’è il Confucianesimo?

Il mondo occidentale è solito definirlo una religione, ma esso è più assimilabile ad una tradizione filosofica con implicazioni di tipo religioso, morale e politico. Per meglio inquadrare i suoi insegnamenti, occorre dire che, secondo la tradizione, Confucio visse nella Cina antica di epoca Zhou 周 (1045-256 a.C.). La storiografia cinese divide quest’ultima in due segmenti:

  • Zhou occidentali (1045-770 a.C.), terminato con l’occupazione della capitale Hao 鎬 da parte delle tribù straniere Rong 戎. Il regno della dinastia Zhou era contraddistinto da un tipo di governo “feudale”. In esso, si distinguevano un ramo dinastico principale, quello del clan reale Zhou, e più rami secondari politicamente subordinati. Ai sovrani Zhou erano date prerogative quasi divine, e ciò si rispecchia nell’appellativo “Figlio del Cielo” (Tianzi 天子) con cui si usava indicare questa figura.
  • Zhou orientali, diviso nei due periodi “Primavere e Autunni” (Chunqiu 春秋, 722-481 a.C.) e “Stati in guerra” (Zhangguo 戰國, 453-221 a.C.).

L’occupazione della vecchia capitale e il trasferimento di essa nel sito di Luoyang 洛陽 costituì il colpo finale al potere Zhou. Da allora, gli stati vassalli che, un tempo, avevano giurato la loro fedeltà alla famiglia reale avrebbero combattuto sanguinosi conflitti per il potere. 

La maggioranza delle scuole di pensiero del periodo degli Zhou orientali si inserisce nel contesto con un obbiettivo ben specifico. Esso era definire quali fossero i principi per il consolidamento della forza di un paese. Infatti, presentare a questo o a quel signore degli strumenti teorici che avrebbero permesso al suo stato di prevalere sugli altri avrebbe garantito l’appoggio di costui. Tale panorama culturale e intellettuale, contraddistinto da vivacità e diversificazione di pensiero, è definito dagli storici “delle cento scuole di pensiero” (Zhuzi Baijia 諸子百家).

Come si differenziava il Confucianesimo?

Nella dottrina confuciana di epoca Zhou e della prima epoca imperiale, invece, la forza dello stato nasceva più come conseguenza del rinnovamento morale. Obbiettivo dell’insegnamento era la restaurazione della cosiddetta “Via dei Sovrani Antichi” (wangdao 王道). Questo va interpretato nell’accezione del ritorno a una società armonica, andata perduta proprio a causa della corruzione dei governi.

Persino la famiglia Zhou stessa portava la colpa di questa decadenza. Ad esempio, il sovrano che regnava al tempo dell’occupazione del 481 a.C., re You 幽, è descritto come dedito ad attività licenziose, piuttosto che all’attività di governo.

Centrale, nell’esercizio dell’autorità da parte di un sovrano che agiva secondo la Via, sarebbe dovuta essere l’attuazione del Rito (Li 禮). L’interpretazione da attribuire a questa parola non è quella di “Rituale” in senso stretto. Piuttosto, esso dovrebbe essere inteso come l’adesione a regole di comportamento e doveri specifici nei riguardi o di altri uomini o di divinità.

Attraverso la corretta attuazione di questa etichetta (con sincera e spontanea partecipazione) gli uomini avrebbero potuto esprimere le cinque virtù confuciane (De 德), delle quali la più importante era Ren 仁 (“Umanità, benevolenza”). Il motivo che il Maestro attribuiva alla crisi dei valori era proprio il fatto che i governanti, smettendo di agire secondo il Rito, avessero deviato dalla Via. Così facendo, essi avevano permesso la decadenza del potere detenuto dalla famiglia reale dei Zhou.

Il canone confuciano

Il canone d’epoca Song 宋 (960-1279 d.C.) divide i testi di riferimento del Confucianesimo, nel loro complesso definiti “Quattro Libri e cinque Classici” (Sishu Wujing  四書五經), in due categorie:

  • I Libri (shu 書), che illustrano i valori e le credenze fondamentali del Confucianesimo. La versione arcaica del carattere 書 è costituita dall’unione dei pittogrammi di pennello 筆 e di parola 曰. Se ne deduce che essi siano perlopiù registrazioni di quanto è stato detto da Confucio in persona o suoi discepoli autorevoli. Essi sono: Il Grande studio, il Giusto mezzo, i Dialoghi, il Mencio.
  • I Classici (jing 經): Classico dei Documenti, Classico dei Mutamenti, Classico delle Odi, Libro dei Riti, Annali delle primavere e degli autunni.
Copia manoscritta dei Dialoghi, uno dei quattro Libri del Confucianesimo, riportata alla luce dalle grotte di Dunhuang – Fonte: Wikipedia Italia

La principale differenza tra le due tipologie di testi sta nel grado di certezza con cui è possibile attribuire la paternità dei contenuti, maggiore nel caso dei Libri. Come già affermato, Confucio visse tra il 551 e il 479 a.C., durante il periodo definito “Primavere e Autunni (ricordiamo, 722-481 a.C.). A partire da questa informazione, sono state formulate due ipotesi sulla paternità dei testi dei Classici:

  • Fu Confucio stesso a compilarli sulla base di fonti già esistenti (cronache, registrazioni di eventi, ecc.) ma slegate tra loro.
  • Essi esistevano già dall’inizio del periodo Zhou, ma Confucio vi apportò modifiche perché potessero essere impiegati come strumenti di insegnamento.

Il substrato di fondo dei Classici non sono, dunque, idee originali del Maestro, ma l’essenza della tradizione culturale di epoca Zhou. Persino lo stesso Confucio, all’interno dei Dialoghi, si definisce un trasmettitore di contenuti e non un creatore. La promozione della cultura tradizionale Zhou è sempre finalizzata a mostrare le virtuose azioni degli antichi sovrani Zhou e pre-Zhou.

L’evoluzione

L’idea che il presente articolo vuole fornire del Confucianesimo è quella di un vero e proprio sistema di principi che toccano la sfera morale, sociale, governativa. Esso nacque con obbiettivi ben specifici, ma le sue modalità di applicazione si sono evolute per adattarsi di volta in volta alle specificità dei tempi correnti, nel bene e nel male.

Tale capacità di adattamento fu tra i fattori che permisero al Confucianesimo di prevalere tra le già nominate “Cento scuole di pensiero”. Circa 120 anni dopo la fondazione dell’Impero cinese, l’imperatore Wu 武 (r. 141-87 a.C.) della dinastia degli Han 漢 Anteriori (206-9 a.C.) stabilì il Confucianesimo come ideologia ortodossa di stato, garantendone la conservazione.

Al giorno d’oggi, soprattutto nel mondo occidentale, si crede che la figura di Confucio abbia perso il posto di rilievo che occupava nella Cina imperiale. Questa percezione non ha premesse del tutto infondate. La Grande Rivoluzione Culturale del 1966, lanciata da Mao Zedong nella Repubblica Popolare Cinese (RPC), infatti, fece sì che molte dottrine tradizionali (compreso il Confucianesimo) fossero bollate come vetuste e, in quanto tali, da estirpare.

Un’idea del genere, tuttavia, potrebbe risultare piuttosto distante dalla realtà, se applicata al giorno d’oggi. Si pensi alle cerimonie rituali del 28 settembre di ogni anno presso Qufu 曲阜 (nello Shandong 山东), organizzate per commemorare il (presunto) giorno di nascita di Confucio. Oppure, si pensi al fatto che lo stesso governo cinese stia valutando di spostare la Giornata degli insegnanti dal 10 al 28 settembre per rendere omaggio proprio al Maestro tra i maestri.

In un lavoro precedente, chi scrive parlava di “Redenzione della cultura classica”. Si tratta di un vero e proprio processo di riabilitazione della dottrina confuciana e riscoperta delle sue idee promossi dai governi della RPC post-Mao Zedong.

Declino e redenzione del Confucianesimo

Il parlare di “redenzione” presuppone necessariamente l’esistenza di un precedente periodo di declino e rifiuto della dottrina. Esso non cominciò durante l’epoca maoista, ma già durante il tumultuoso processo (seconda metà XVIII – prima metà XIX secolo) da cui prese vita ciò che gli storici sono soliti definire “prima modernità cinese”.

Tale sequela di eventi vide, tra le altre cose, la deposizione di Pu Yi 溥儀 Aisin Gioro (1906-1967), ultimo sovrano della dinastia Qing 清 (1636-1912) e della Cina imperiale, nonché l’istituzione della nuova Repubblica di Cina ad opera della Alleanza rivoluzionaria cinese (Zhongguo geming tongmeng hui 中國革命同盟會), con a capo Sun Yat-sen. Sono tutti eventi discussi nel citato articolo.

Molteplici sono i motivi che hanno determinato la caduta della dinastia Qing. Essi possono essere sintetizzati nell’incapacità del governo centrale di rispondere alla crisi determinata dagli eventi che si susseguirono durante il cosiddetto “Secolo di umiliazione”. Questo termine indica il periodo in cui le potenze occidentali dettarono una serie di imposizioni ai danni della Cina, come la stipula dei trattati commerciali ineguali di Nanchino (1842) e di Tianjin (1858) a seguito delle due guerre dell’oppio.

In un impero sempre più indebolito da conflitti armati e rivolte interne (es. la rivolta Taiping 太平, 1851-1864), gli intellettuali erano convinti che il rinnovamento del paese non dovesse passare soltanto attraverso la meccanica applicazione di modelli tecnologici e scientifici occidentali. Sarebbe stato altrettanto necessario, se non addirittura più importante, formare la coscienza degli individui come portatori consapevoli di propri diritti e libertà.

Alcuni di questi pensatori giunsero a guardare alla tradizione confuciana come a un significativo fattore d’ostacolo al progresso. Le ragioni di questo vanno ricercate proprio nel fatto che il Confucianesimo fosse l’ideologia ortodossa dello stato imperiale. In veste di questa sua funzione, dunque, la dottrina non costituiva solo il fondamento ideologico alla base della rigida gerarchia sociale dell’epoca, ma anche il simbolo di una macchina governativa che faticava ad adattarsi ai tempi.

Foto del tempio dedicato a Confucio, nella città di Qufu. – Fonte: Wikipedia En.

L’enfasi sul miglioramento individuale

È stato indicato come il Confucianesimo abbia riacquistato il precedentemente perduto prestigio agli occhi della macchina governativa. Ciò non deve essere letto – ovviamente – come il tentativo di ristabilire una società basata sul patriarcato e una rigida divisione di classe e non sulla libertà di scelta del singolo individuo. Una tale istituzione risulterebbe a dir poco anacronistica nel mondo in cui viviamo.

La promozione odierna  del Confucianesimo è portata avanti, piuttosto, come promozione di una società in cui prevalga l’anteposizione del bene comune all’interesse individuale. In questo scenario, l’enfasi posta dal confucianesimo sulla collettività e sui principi per una società armonica dovrebbe fungere da contraltare all’introduzione in Cina di valori individualistici di stampo occidentale, avvenuta a partire dall’apertura dell’economia cinese al mercato mondiale.

Di fondo, vi è l’idea che la coltivazione della virtù dei singoli individui e il mantenimento dell’armonia nel loro ambito di esistenza generi la forza di uno Stato, a cui ci si è già riferiti precedentemente in questo articolo. Questa forma di auto-regolazione è stata ampiamente sviscerata dai pensatori del periodo pre-imperiale associati alla scuola confuciana, come Xunzi 荀子 (313-238 a.C.).

Costui affermava che l’individuo, attraverso lo studio delle pratiche rituali e delle norme civili, potesse diventare un junzi 君子. Se, originariamente, tale termine faceva riferimento ad un titolo nobiliare generico, qui è meglio traducibile come “uomo esemplare”, una nobiltà acquisita per educazione e non per discendenza. Essa non è necessariamente legata alle origini o alla ricchezza materiale posseduta.

Centrale è, dunque, l’idea di una natura umana perfettibile, paragonata a un vaso ottenuto dal modellamento dell’argilla. Se tutti avranno compiuto questo decisivo passo di perfezionamento, vi sarà un’uniformità morale e comportamentale da parte di tutta la popolazione dello Stato, la quale comincerà spontaneamente ad agire perché lo stesso prosperi e sia forte.

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Di Francesco De Dominicis

Classe 1995, Francesco De Dominicis è specializzato in Lingue e Civiltà Orientali all'Orientale di Napoli. Tra un articolo e l'altro, adora guardare vecchi film del cinema cult, scrivere racconti e canzoni e strimpellare strumenti vari.

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