• Gio. Mar 28th, 2024

In mostra alla Galleria Lineadarte Officina Creativa Antonio Ciraci in Silenti

In mostra alla Galleria Lineadarte Officina Creativa di Napoli Antonio Ciraci in Silenti

Sabato 18 Dicembre 2021 alle ore 17.30 presso la Galleria Lineadarte Officina Creativa si inaugura la mostra di Antonio Ciraci “Silenti”, la mostra sarà visitabile fino al 4 gennaio 2022, Testi Critici a catalogo sono di Rosario Pinto e Giovanni Cardone. Questa mostra vuole essere una sorta di elogio del Silenzio, come dice Antonio Ciraci inteso come prassi meditativa. Accade spesso ad ognuno, ma, ad una certa età sorge quasi impellente e doverosa l’esigenza di raccogliersi e raccogliere il frutto dolce e amaro di ciò che abbiamo prodotto e di ciò che siamo, prima che caschi tutto nell’oblio. Quel frutto si coglie e si assapora solo calandosi nel buio profondo del nostro io. Ed è in quel sito che si può iniziare a vedere se stessi ed il mondo circostante sotto una luce diversa, forse più vera. A me non interessava ritrarre persone, visi scrutati ed incontrati casualmente in metrò, in una sala d’aspetto, sulla panchina di una parco, a me interessava cogliere un momento, riportare su tela il loro essere silenti nel tempo necessario per ritrovarsi dentro, la luce che trapela e riverbera in superfice da quel buio profondo. Quella luce pura, seppur effimera, dove si cerca di capire. Come dice Giovanni Cardone:  In questa mostra le opere di Antonio Ciraci certamente ci fanno riflettere sull’inquietudine che tutti noi stiamo vivendo e al tempo stesso può anche essere considerata come una possibilità o meglio ancora come forma estrema di libertà. Se pensiamo a quanto possano essere oppressivi i vincoli e i ruoli sociali, a quanto possano essere alienanti le costrizioni civili i luoghi comuni e i pregiudizi, le maschere che quotidianamente siamo costretti ad indossare, ecco che tutta questa “liquidità” tutta questa possibilità di trasformazione non può che sembrarci addirittura una catartica o meglio una salvifica possibilità di riscatto di vera affermazione oppure di auto-determinazione. Penso a Bauman quando dice : “ Che la nostra sociètà  sta focalizzando la sua attenzione sul passaggio dalla modernità alla postmodernità, e le questioni etiche relative.  Egli ha paragonato il concetto di modernità e postmodernità rispettivamente allo stato solido e liquido della società. Mentre nell’età moderna tutto era dato come una solida costruzione, ai nostri giorni, invece ogni aspetto della vita può venir rimodellato artificialmente. Dunque nulla ha contorni nitidi, definiti e fissati una volta per tutte. Ciò non può che influire sulle relazioni umane, divenute ormai precarie in quanto non ci si vuole sentire ingabbiati. Bauman sostiene che l’incertezza che attanaglia la società moderna deriva dalla trasformazione dei suoi protagonisti da produttori a consumatori. L’esclusione sociale elaborata da Bauman non si basa più sull’estraneità al sistema produttivo o sul non poter comprare l’essenziale, ma sul non poter comprare per sentirsi parte della modernità. Secondo Bauman il povero, nella vita liquida, cerca di standardizzarsi agli schemi comuni, ma si sente frustrato se non riesce a sentirsi come gli altri, cioè non sentirsi accettato nel ruolo di consumatore .In tal modo, in una società che vive per il consumo, tutto si trasforma in merce, incluso l’essere umano”.  Io credo che senza memoria non vi è passato e senza passato non vi è identità. Ogni uomo ha bisogno di conoscere le proprie radici, la propria provenienza, per comprendere fino in fondo se stesso e la società in cui vive, così come ogni popolo per sopravvivere alla modernità, dovrebbe conoscere e valorizzare le proprie tradizioni gli usi e costumi di generazioni antiche che, seppur lontane, continuano a mantenere un’eco  di vitale importanza per la sopravvivenza della propria cultura. Spesso ignoriamo che, proprio nel sapere collettivo dei nostri progenitori,si nascondevano verità incontrovertibili acquisite più che dallo studio, dall’esperienza, e che in alcune di queste possono essere rintracciate oggi basi e fondamenti scientifici allora sconosciuti che ci hanno permesso di sopravvivere e di arrivare fin qui. Queste  opere raccontano tutto questo perché fa parte del nostro essere del nostro vissuto che solo l’arte sa raccontare. Mentre Rosario Pinto afferma : Di qui, a seguire, da questa tappa fondamentale ed incisiva, la pittura di Antonio Ciraci prende a guadagnare un rapporto sempre più stretto con la datità epifenomenica, forte, comunque, di una capacità di affondo segnico che guadagna la robustezza del proprio spessore grazie ad una forza espressiva cui il nostro artista non ha mai smesso di continuare a dare alimento e sostanza. Ecco, ad esempio, affacciarsi in lui un’istanza di grande interesse, come quella della focalizzazione figurativa sui volti, sulla pregnanza psicologica dell’immagine che egli prende a descrivere con straordinaria partecipazione emotiva e con grande opportunità analitica. Ciò ci conduce, d’impeto, alle cose della sua produzione più recente, ove l’artista si profonde, come appena dicevamo, in una creazione di volti di straordinaria capacità comunicativa resa tanto più coinvolgente dalla forza materica che ne sottende la delineazione fisionomica. Il recupero del visibile come impressa segnica di una datità materica che si esprime secondo forme figurativamente leggibili conferma la forza di una vocazione che vorremmo intendere di ordine dialogico che va a stabilirsi tra la sensibilità psicologica della adesione alla pregnanza della individualità soggettiva e la decisione materica che documenta la storicità fattiva ed evenienziale delle cose e del tempo che si stampa su di esse. Sulla scorta di tali considerazioni, trova allora spiegazione quella percezione – e, con essa, la definizione che ne suggeriamo – di sintesi ‘materico-figurativa’ che può essere considerata la cifra dirimente e qualitativamente apprezzabile della produzione attuale di Antonio Ciraci, il quale va ad attestare, in sostanza, che quell’ansito premonitivo che aveva caratterizzato le dinamiche casciariane come di Girosi, negli anni che precedono la temperie ‘informale’, possono trovare una linfa nuova nella proposta di un assetto che definiamo, senza esitazione, propriamente ‘iperfigurativo’.

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