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L’assassinio di Kitty Genovese

DiAnnamena Mastroianni

Feb 3, 2021

La morte che portò alla creazione del 911
Uno dei più famosi casi di cronaca della storia americana

L’assassinio di Catherine Susan Genovese, nota come Kitty Genovese, morta a soli 29 anni a New York, nei pressi della sua casa nel quartiere di Kew Gardens, distretto del Queens, ancora oggi lascia molte domande senza risposta. Kitty fu accoltellata a morte e ad aggravare la crudeltà dell’atto in sé fu la mancata reazione da parte dei suoi vicini mentre subiva la violenza che la portò al suo ultimo respiro. Circostanze all’epoca riportate da un articolo investigativo del New York Times, scritto a firma di Martin Gansberg, originariamente dal titolo: “Trentasette che hanno visto l’omicidio non hanno chiamato la polizia”, pubblicato il 27 marzo del 1964, ben due settimane dopo l’omicidio, ed oggi smentite. L’apatia dimostrata dai suoi vicini, non facendo nulla mentre si consumava un delitto e chiamando la polizia solo minuti e minuti dopo, divenne il simbolo di un fenomeno psicologico noto come ‘effetto spettatore’. Alcuni rapporti citati da Harlan Ellison nel suo libro, Harlan Ellison Watching, affermarono che addirittura un uomo alzò il volume della radio così da non sentire le urla della Genovese proprio mentre lottava con il suo aggressore che stava tentando di ucciderla. La sua morte è dunque considerata una delle principali ragioni per cui si diede vita al 911, il numero unico per le emergenze attivo negli Stati Uniti d’America dal 1968.

Kitty Genovese nacque a New York City da una famiglia italoamericana ed era la maggiore di cinque fratelli. Kitty, nella fredda sera del 13 marzo del 1964 tornò a casa in auto più tardi del solito, intorno alle 3 e 15 di notte e per non disturbare Mary Ann, sua coinquilina e socia, parcheggiò a 30 metri dall’uscio dello stabile. Una volta fuori dall’auto fu avvicinata da un uomo identificato successivamente come Winston Moseley che le corse dietro raggiungendola in brevissimo tempo, accoltellandola alla schiena per due volte. Kitty gridò e le sue urla strazianti furono ignorate da tanti vicini, probabilmente perché non riconobbero quei suoni per richieste di aiuto. Dopo alcuni minuti solo un vicino gridò contro l’aggressore di lasciarla stare così da costringere Moseley a fuggire. La donna pian piano, arrancò verso il suo appartamento, gravemente ferita e purtroppo ben lontana dalla vista di quelli che erano intervenuti mettendo in fuga l’aggressore. Moseley entrò nella sua auto, andò via per tornare solo dieci minuti più tardi, ricercare la sua vittima, trovarla poco cosciente accasciata in un androne sul retro dell’edificio. Si rese conto di essere lontano dalla vista della strada e di coloro che avevano sentito e visto qualcosa della precedente aggressione, procedette quindi ad un secondo assalto, pugnalandola per diverse volte. Dalle ferite di coltello alle mani riscontrate una volta cadavere, la donna tentò di difendersi inutilmente. Mentre era in fin di vita l’uomo non solo la violentò ma le rubò circa 49 dollari, lasciandola agonizzante nell’androne. Un testimone, Karl Ross, chiamò la polizia solo alcuni minuti dopo la fine dell’aggressione che giunse sul posto insieme al personale medico. La Genovese venne portata via in ambulanza ma morì nel tragitto in ospedale. Moseley rilasciò una confessione alla polizia in cui espose il suo movente: «per uccidere una donna». Ebbene, quella notte si alzò, alle due del mattino circa, lasciando sua moglie addormentata a casa. Guidò in giro alla ricerca di una vittima, spiò Kitty, la seguì nel parcheggio. Winston Moseley, fu catturato in concomitanza con un altro crimine. L’ operatore di macchine da stampa confessò non solo l’omicidio di Kitty Genovese ma anche due altri delitti a sfondo sessuale. La sua condanna a morte fu poi convertita in carcere a vita. Moseley morì il 5 aprile del 2016 in galera dove vi rimase con la libertà condizionale sempre negata, non mostrando alcun pentimento.

Un delitto, quello della giovane Kitty, che lascia sospesi diversi punti su cui indagare affinchè si realizzi concretamente e realmente piena giustizia. Ad esempio, sua madre fu testimone di un omicidio in città, tanto che nel 1954 la sua famiglia, si trasferì nel Connecticut, tuttavia la diciannovenne Kitty decise di restare nella città dove sarebbe vissuta per altri nove anni. Coincidenza? Si potrebbe ipotizzare un filo conduttore tra i due eventi. Moseley anche se confessò l’omicidio nel 1964, in età avanzata disse di aver solo fatto da autista al gangster che aveva ucciso Kitty. Secondo il figlio di Moseley invece, suo padre uccise Kitty perché lei gli aveva urlato contro insulti razzisti. Ed ancora, siamo certi del fatto che tutti i vicini non videro nulla? Tra le tante domande che dovremmo porci: cosa rende questo evento così diverso dagli altri? Ebbene, le circostanze potrebbero essere una risposta. Ricordiamo che Kitty fu aggredita in strada, da un uomo armato che la pugnalò per più di mezz’ora. Un arco di tempo piuttosto dilazionato poiché l’assassino, rendendosi conto della presenza dei residenti che assistevano alle finestre, di tanto in tanto interrompeva la sua furia assassina temendo l’arrivo della polizia, riprendendo nuovamente. Molti ipotetici testimoni, nessuno di essi né intervenne né chiamò aiuto. Un atteggiamento il loro che mostra la tendenza all’individualismo e all’indifferenza verso le altrui sofferenze. Il punto cruciale dell’intera sequenza comportamentale e decisionale fu ritrovato tuttavia nel passaggio successivo, ossia l’assunzione di responsabilità, chiamando le forze dell’ordine. Questo stralcio di quotidiana assenza di rispetto per il prossimo e di coraggio nell’opporsi a tali barbarie, reati che quando non ti tolgono la vita ti condannano ad una espiazione dolorosa e costante, dovrebbe far tutt’oggi riflettere. Ignorare una donna in pericolo, vittima di violenza, lascia attoniti e spinge a pensare che l’umanità sia ormai rara. È questo quel che si pensò dopo la morte di Kitty, brutalmente assassinata sotto gli occhi di tanti vicini. Secondo il rapporto delle Nazioni Unite sugli Sustainable Development Goals (SDGs), il 18% delle donne, di età compresa tra i 15 e i 49 anni che hanno avuto una relazione hanno subito violenze fisiche o sessuali da parte del partner nei 12 mesi precedenti. Più di un terzo delle donne vittime di omicidio, vengono uccise intenzionalmente da un partner attuale o un ex partner.
Urge ricordare che, come il 911 in America, in Italia il 1522 nato e pensato come servizio pubblico nell’intento esclusivo di fornire ascolto e sostegno alle donne che subiscono violenza maschile, dal 2009, con l’entrata in vigore della L.38/2009 in tema di arti persecutori, ha iniziato un’azione di sostegno anche nei confronti delle donne che subiscono stalking.

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Di Annamena Mastroianni

Docente. Media Educator. Formatrice.

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