
Dieci anni prima a Shirin Ebadi, giurista e promotrice dei diritti delle donne le era stato riconosciuto il Nobel.
“Donna, vita, libertà” è lo slogan che dall’Iran è arrivato fino ad Oslo ed è con queste parole che Berit Reiss – Andersen, la presidente del Comitato norvegese per il Nobel ha assegnato il Premio Nobel per la Pace 2023 all’iraniana Narges Mohammadi, giornalista e attivista per i diritti delle donne di tutto il mondo e contro la pena di morte. La presidente del Comitato ha ricordato come l’opera dell’attivista sia portata avanti con sacrifici personali e abnegazione.
L’attivista cinquantunenne che è contro il regime iraniano era stata arrestata nel 2016 ed è tuttora rinchiusa nel terribile carcere di Evin a Teheran, luogo in cui come ha tenuto a sottolineare la stessa Mohammadi in una lettera inviata alla BBC alla fine dell’anno scorso, torture e violenze sessuali ai danni delle donne sono all’ordine del giorno.
Narges Mohammadi nasce nella città di Zanjan nel 1972. Il suo impegno per i diritti delle donne inizia negli anni dell’università e nel 2003 inizia a far parte del Centro per la difesa dei diritti umani, una ong fondata da Shirin Ebadi, di cui diventa vice presidente occupandosi dei diritti dei carcerati, dei prigionieri politici e dell’abolizione della pena di morte. E’ stata imprigionata diverse volte e dovrà scontare più pene per un totale di trentuno anni di reclusione e centocinquantaquattro frustate.
La ‘leonessa dell’Iran’, com’è stata definita dalla gente del suo popolo, in occasione dell’anniversario della morte di Mahsa Amini, la ventiduenne di origini curde morta il 16 settembre 2022 in seguito all’arresto da parte della polizia morale iraniana perché non indossava correttamente il velo, ha bruciato l’hijab nel cortile del carcere, insieme ad altre tre detenute.
La morte dei Mahsa Amini ha provocato rabbia e indignazione in tutto l’Iran. Migliaia di donne sono scese in strada lungo le strade di Saqqez a Teheran e hanno bruciato gli hijab in segno di protesta, perché secondo i manifestanti la giovane sarebbe stata picchiata a morte, visti anche gli evidenti segni di violenza sul corpo. Ma la sanguinaria macchina della repressione si è subito messa in moto uccidendo cinquecento manifestanti e arrestando ventimila persone tra cui Elaleh Mohammadi, una giornalista iraniana arrestata il 29 settembre dello scorso anno con l’accusa di cospirazione e spionaggio e che rischia perfino l’impiccagione.
E’ una guerra alle guerre quella delle donne iraniane che oggi sono più forti perché hanno dalla loro parte anche gli uomini. E’ un impegno che ha fatto scendere in campo attivisti, giornalisti e avvocati per combattere contro il regime teocratico iraniano instauratosi dopo la rivoluzione khomeinista del 1979 e quando sono iniziate le proteste la Mohammadi è riuscita dal carcere a sostenere la causa dei manifestanti con articoli e messaggi di vicinanza.
Shirin Ebadi è stata la prima donna musulmana magistrato a ricevere il Premio Nobel per la Pace nel 2003 e nell’opera “Il mio Iran” ricorda come il velo divenne obbligatorio a partire dalla Rivoluzione islamica del 1979: era l’8 marzo 1979, poco dopo il ritorno di Khomeini. Fu uno choc”. E sempre a proposito del velo ha affermato: “questa volta la protesta è così diffusa e trasversale, perché per 43 anni il regime non ha risposto alle richieste del popolo. Le persone sono insoddisfatte e vogliono buttarlo giù”.
