La più ampia mostra mai dedicata all’artista Irlandese
Nellesale al secondo piano del Madre, Museo d’arte Donnaregina a Napoli, è possibile ammirare la mostra intitolata a lu tiempo de…, la prima ampia retrospettiva mai dedicata da un museo pubblico, non solo italiano, all’artista Irlandese Pádraig Timoney (Derry, 1968), che vive e lavora a New York. La mostra è stata inaugurata lo scorso 7 febbraio con performance e dj set che, in molte occasioni, hanno fatto del museo anche luogo d’incontro della gioventù napoletana.
Il titolo della mostra riprende l’incipit della canzone pubblicata nel 1974 dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare, ‘O Cunto ‘E Masaniello. L’artista irlandese rende così omaggio alla città che è stata, dal 2004 al 2011, suo luogo di residenza e di produzione artistica. Questa mostra di metà carriera, comprende circa cinquanta opere realizzate dall’artista in vent’anni, caratterizzate da un eclettismo che vede l’utilizzo di diversi mezzi espressivi: pittura, fotografia, scultura e installazione. Questa diversità porta l’osservatore a credere di trovarsi di fronte a opere di vari artisti, tant’è la disomogeneità degli stili e delle tecniche che Timoney utilizza; «l’astrazione convive con il più fedele foto-realismo, la gestualità si accompagna a un’estetica quasi meditativa, mentre una erudita relazione con la storia dell’arte si fonde con la comprensione degli aspetti più contemporanei, finanche banali, della nostra cultura globalizzata e digitale». Questo eclettismo è, in Timoney, avvertibile come una critica a quel concetto di “stile” che è alla base della storia dell’arte, e che porta l’artista ad indagarla in tutte le sue potenzialità e a metterla in discussione. Uno stile che rivela anche una grande conoscenza delle esperienze artistiche più diverse e delle più differenti epoche, tra le quali lo spettatore può districarsi per cercare il suo orizzonte di significati.
Dagli iperrealismi alle suggestioni quasi naif, dai richiami pop agli echi della pittura surrealista, quella di René Magritte e dei suoi paradossi visivi, o di Max Ernst. Timoney, nella sua continua “esplorazione” tra tecniche differenti, si avvicina alle opere di grandi nomi come Robert Rauschenberg, Andy Warhol, soprattutto per la natura profondamente fotografica del suo lavoro.
Nelle opere più propriamente pittoriche, nei processi e nell’uso dei materiali, l’artista rielabora quelle che erano le tecniche della pittura europea tradizionale. Ne sono un esempio le opere nelle quali la colla di coniglio – un materiale usato in passato nella fase di preparazione delle tele – è mescolata ai pigmenti e diventa esso stesso pittura, trasformando così un processo che fa parte del DNA della pittura in immagine.
La mostra rimarrà al Madre dal giorno 8 febbraio al 12 maggio 2014. Magari può essere anche l’occasione per rivedere le collezioni permanenti del museo, il quale è stato oggettodi un forte rilancio ad opera di Pier Paolo Forte e Andrea Viliani, caratterizzato da uno sguardo costante alla scena internazionale, nazionale e locale, attenta a evitare dispendi di forze ed energie.
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