All’Expo 2015 di Milano, oltre il Caravaggio e l’opera “ Le Sette Opere della Misericordia “ verranno trasportate le opere che fanno parte degli Scavi di Pompei, per meglio rappresentare l’Italia delle regioni e del suo vasto patrimonio culturale.
La Soprintendenza di Pompei sta per stringere un accordo di partenariato con Expo 2015, anche se ancora non si conoscono i beni che verranno esposti nelle vetrine milanesi il prossimo anno. Per i sei mesi della rassegna espositiva potranno essere dunque i reperti provenienti dalla città sepolta dal Vesuvio ad allietare il soggiorno dei visitatori all’evento. L’Expo ha un tema decisivo “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”, argomento, quello dell’alimentazione, che di certo non manca nel sito vesuviano, meritevole di aver permesso di ricostruire gli aspetti più comuni e semplici della vita degli antichi, tra cui un grande posto occupa certamente l’alimentazione e il pasto conviviale. Affreschi, vasi, bronzi, vetri o magari un corredo da banchetto potranno essere trasportati a Milano per l’Expo. Dato l’avanzato degrado monumentale di Pompei, negli ultimi venti anni , la Soprintendenza ha operato una recisa inversione di tendenza rinunziando a ogni allargamento dello scavo in area già demaniale, salvo gli inevitabili completamenti, favorendo semmai rigorosi saggi stratigrafici nel sottosuolo intesi a chiarire la dinamica storica dello sviluppo urbano, e concentrando le risorse sul restauro murario, sulle coperture delle case, onde proteggerne dalle intemperie le strutture e le decorazioni, e sul recupero almeno conoscitivo di quanto già in luce. In pari tempo, si è rivolta maggior attenzione alla tutela del territorio, pesantemente coinvolto dall’espansione edilizia della conurbazione napoletana. Il risultato più appariscente di tale indirizzo è costituito dalla rapida individuazione di molti nuovi siti d’interesse archeologico, in genere ville rustiche o tombe, che aprono nuove prospettive di conoscenza sulle divisioni agrarie dell’agro pompeiano e sulla consistenza delle antiche unità produttive, nonché sull’incidenza della colonizzazione sillana sull’organizzazione della proprietà fondiaria. Largo appoggio è stato dato alle iniziative, italiane e non, volte alla documentazione dell’esistente, stante il sempre più accelerato deperimento delle decorazioni pittoriche degli edifici scoperti nel pluricentenario sviluppo degli scavi e spesso lasciati senza adeguata protezione; in primo luogo la sistematica campagna fotografica e di schedatura preliminare di tutte le pitture e pavimenti pompeiani, tuttora in sito o nel Museo archeologico nazionale di Napoli, condotta dall’Istituto centrale per il catalogo del ministero per i Beni Culturali, e quindi acquisita dall’Istituto della Enciclopedia Italiana che la sta pubblicando . L’iniziativa del Deutsches Archaeologisches Institut, Haüser in Pompeji , rappresenta un progetto di documentazione globale con minuziosissimo rilevamento, mediante lucidi tracciati sull’originale, di quanto sopravvive di importanti complessi pittorici, con riesame e studio monografico di tutta la documentazione esistente; vi collaborano anche università australiane.
Un’impresa britannica ha scelto il modulo dell’insula (ins. i, 4, casa del Menandro e casa degli Amanti) come l’unità più appropriata per un’analisi strutturale diacronica. L’università del Texas si è rivolta a dotare P. di un’aggiornata cartografia. Resoconti delle attività istituzionali sono stati pubblicati annualmente, tra 1975 e 1979, nella rivista Cronache Pompeiane, sostituita nel 1984 da Pompei, Ercolano, Stabia e dal 1987 al 1990 al 1993 dalla Rivista di Studi Pompeiani. Un momento di svolta coincide col terremoto dell’Irpinia (23 novembre 1980 e successive scosse fino al febbraio 1981), che infierendo sul già degradato patrimonio murario di Pompei ha provocato crolli vistosi e una capillare disgregazione di tutte le strutture dell’antica città. Agli interventi di emergenza ha fatto seguito un rilevamento informatizzato delle condizioni di ogni elemento murario dell’antica città, curato da archeologi con l’ausilio di un centinaio di tecnici dell’esercito, premessa per un progetto unitario di risanamento e restauro di tutto il comprensorio degli scavi. Particolare impegno si è riservato al non facile problema delle coperture. Trasformata la Direzione degli scavi di P. in autonoma Soprintendenza, dal 1981 gran parte delle attività e delle disponibilità finanziarie è stata assorbita nell’organizzazione logistica della nuova struttura burocratica e del personale assegnato. Sono proseguiti comunque i restauri dei danni sismici. Negli avanzati anni Ottanta si è altresì ritenuto di riprendere lo scavo estensivo nell’area demaniale (regione ix, regione i, regione ii, terme suburbane di Porta Marina, ecc.), rivolgendo attenzione al ripristino di giardini e orti, con indagini paleobotaniche suscettibili di fornire dati interessanti l’arte topiaria, ma anche la storia economica. Tali attività si sono accompagnate con l’esecuzione di ulteriori saggi stratigrafici, che comunque apportano dati importanti per la storia urbanistica della città. Le fasi più antiche della città− Rinvenimenti vari attestano una frequentazione dall’età del Bronzo, laddove saggi al tempio di Iside hanno fatto giustizia del presunto abitato di capanne dell’età del Ferro rivelando solo edifici primoellenistici (a destinazione sacrale come mostrano gli oggetti votivi); si conferma perciò lo iato insediativo fino alla fine del 7° secolo a.C. L’insediamento primitivo a suo tempo riconosciuto (cosiddetto Altstadt di von Gerkan) si evidenzia dal perimetro e dai tracciati viari maggiori sopravvissuti nel tessuto stradale di P., ma una trincea stratigrafica (funzionale alla posa dei cavi di un impianto elettrico) lo ha attraversato per intero senza incontrare tracce di mura o altre opere difensive in corrispondenza del presunto circuito cittadino; anche sotto via dei Soprastanti sono venuti in luce pozzi ellenistici. Per contro, saggi lungo il percorso delle mura attuali hanno ritrovato la cinta in pappamonte, già vista da Amedeo Maiuri, che assume perciò vero carattere di muro urbico, ora stratigraficamente databile al 570 circa a.C.: se l’Altstadt realmente precede, deve aver avuto breve durata, tra fine del 7° e inizi del 6° secolo a.C.
Quanto ai santuari, permanendo inediti quelli dal tempio dorico, sono stati infine pubblicati i materiali dagli scavi prebellici di Maiuri al tempio di Apollo: in parallelo con la cinta ampliata, le presenze più antiche datano anche qui al corinzio medio, collaborando a riconoscervi il santuario poliadico della città; elementi architettonici tuscanici, e brevi iscrizioni graffite su buccheri di 6° secolo avanzato, ne confermano il carattere etrusco; le importazioni attiche cessano verso il 470 a.C. Rari frammenti di terracotte architettoniche arcaiche, rinvenuti altrove, potrebbero indiziare altri santuari intramuranei. Alla nuova entità urbana fanno capo santuari extraurbani, a 1÷3 km dal centro (fondo Iozzino; S. Abbondio; località Bottaro, con recuperi di materiali anche arcaici, probabilmente in corrispondenza con lo scalo marittimo: in età romana vi era forse un tempio di Nettuno), che, sostituendo forse precedenti nucl
ei insediativi spariti a seguito del sinecismo, organizzano l’ager pertinente alla città; a questo tempo (circa 500 a.C., l’età di Aristodemo?) potrebbe appartenere la successiva fase delle mura, a ortostati in calcare del Sarno di apparato greco. Contrastano con questi dati gli esiti di molteplici saggi entro le case che, eccettuati strati di frequentazione o materiali arcaici fuori contesto, in genere non hanno rinvenuto edifici arcaici neppure nel nucleo più antico di P. (area del Foro, casa delle Forme di Creta, casa della Colonna Etrusca, casa di Ganimede, ecc.) e, soprattutto, presentano un vuoto per gran parte del 5° e del 4° secolo a.C. Ma è importante che nelle poche tombe di avanzato 4° secolo a.C. rinvenute finora, siano presenti vasi con graffiti etruschi, che mostrano come il substrato etnico-culturale pompeiano non sia stato sovvertito nel lungo periodo in cui il prevalere di Neapolis deve aver contribuito all’eclisse di P. come agglomerato urbano e struttura politica. Il progetto urbanistico che dà forma definitiva alla città, come dimostrato recentemente, si basa sulla regolarizzazione della via Stabiana, tratto urbano della grande strada tra Napoli e Nocera, sulla quale, a intervalli equidistanti, si tagliano i decumani maggiori (via dell’Abbondanza, raccordata al preesistente sistema viario, e via di Nola), orientati a traguardo verso il monte da cui origina il fiume Sarno, e al cui piede sorgerà il santuario ”federale” dell’ethnos nucerino; il sistema di decumani e cardini minori si orienta sulle torri e posterule della cinta, e perciò impianto urbano e rifacimento delle mura ad aggere in calcare appartengono a un progetto unitario. Allo stesso progetto dovrà assegnarsi un’importante divisione agraria recentemente riconosciuta (la sola nota in ambito italico), impostata sulla prosecuzione extramuranea della via di Mercurio, che interessa le fertili pendici a vigna verso il Vesuvio, e che fino alla fine continuerà a dettare gli orientamenti delle ville, sia quelle prossime alla città (Diomede, Misteri, Cicerone, Colonne a Mosaico), sia le fattorie del contado, come quella in località Villa Regina di Boscoreale, che si è potuta scavare per intero e restaurare per la visita al pubblico, completandola con un piccolo museo dell’agro pompeiano, e altre più ampie, individuate nell’area di Boscoreale. Questa riorganizzazione solidale di città e contado, risalente alla fine del 4°-inizi del 3° secolo a.C. (come risulta per le mura dai saggi a porta Nola, porta Nocera, porta Marina), deve ritenersi pilotata da Roma, data la corrispondenza cronologica con l’ingresso della lega nucerina nell’alleanza romana, la guerra con Pirro avendo forse provocato un’accelerazione di processi in corso. L’ultima grande operazione urbanistica, imperniata su reticolato regolarissimo con insule allungate larghe un actus, riguarda il quartiere di porta Nocera (regg. i e ii soprattutto, ma anche ix, iv e v) che, come gli scavi stratigrafici in molte case hanno recentemente confermato, deve assegnarsi alla fine del 3°-inizi del 2° secolo a.C. (dunque non in concomitanza con la deduzione coloniaria sillana, come da alcuni supposto), e persuasivamente messo in relazione con le vicende della seconda guerra punica (necessità di accogliere i profughi di Nocera distrutta da Annibale, ovvero i Capuani rimasti fedeli a Roma quando la città passò ai Cartaginesi, ecc.); forse contemporaneo il rialzamento delle mura e dell’aggere in tufo nucerino. Le insule delle regioni i e ii, per lo più occupate da piccole abitazioni con ampi spazi verdi o a vigneto, e apprestamenti per ostelli e caupone, hanno sempre suggerito l’immagine di una città pianificata con ampiezza, che al momento dell’eruzione non aveva ancora utilizzato tutte le aree edificabili; in realtà risulta dai saggi che le insule vennero divise inizialmente in otto o nove lotti identici e che gli spazi aperti risultarono dall’abbattimento di case preesistenti che, forse già alla fine dell’età repubblicana, ridussero le abitazioni nell’area talvolta a meno della metà di quelle originarie (per es. in ii, 8): il fenomeno, localmente legato alla commercialità di zone prossime all’anfiteatro, sembra riflettere peraltro precoci mutamenti negli assetti sociali della città. Ma delle abitazioni primitive sono state avanzate interessanti proposte di ricostruzione, con case ”a schiera” (dette del ”ceto medio”) di circa 200 m2, disposizione longitudinale ma con atrio trasversale, coperto e quindi senza impluvio (testudinato?), piano superiore e giardinetto sul fondo; si è inoltre ipotizzato che questo modello rappresenti in realtà l’evoluzione da una tipologia ancor più semplice, con atrio scoperto e quindi senza piano superiore, molto vicina a esempi a Cosa datati nel 3° secolo a.C. Risulta chiaramente, comunque, che la casa cosiddetta ”pompeiana”, cioè con atrio tuscanico e peristilio, costituisce un modello non formato localmente, ma importato in forme già elaborate, seguendo probabilmente esempi urbani. Per il periodo ellenistico, va aggiunto che i citati ”saggi dell’impianto elettrico” hanno tra l’altro rivelato una fase precedente del tempio di Apollo, con temenos più ampio verso un foro non provvisto di porticati e fosse votive; mentre tra le numerose attestazioni di case private variamente conformate, precedenti le attuali, talvolta interessanti per singole soluzioni architettoniche, o per decorazioni pavimentali, fa spicco un edificio tricliniare trovato sotto la casa delle Forme di Creta, che è stato confrontato con sedi di sodalità note in ambiente italico. Vanno inoltre ricordate poche tombe a cassone con corredo, fuori porta Ercolano e porta Nocera, le più antiche finora trovate, ma non anteriori alla fine del 4° secolo a.C. Il completamento dello scavo della casa di Giulio Polibio ha riservato la sorpresa, in un triclinio in fondo al peristilio, dell’intero servizio da banchetto con vasellame bronzeo decorato di eccellente qualità, tra cui un cratere con scena mitologica, un Apollo lychnouchos arcaistico, e, pezzo di antiquariato, un’idria-premio per i giochi di Hera Argiva del 460 circa a.C.
La ripresa dello scavo nella contigua casa ix, 12, 6-7 ha rivelato trattarsi in realtà di due unità contigue, la più meridionale costituita dal forno, benissimo conservato, e dal pistrino appartenuti certamente allo stesso Polibio; nelle stalle, gli scheletri di sette asini o muli che giravano le macine danno la misura dell’importanza dello stabilimento: l’altra abitazione ha belle decorazioni di iv stile, in corso di esecuzione proprio al tempo dell’eruzione, ciò che ha permesso di rilevare interessanti particolari tecnici. Un notevole complesso, con un ninfeo a mosaico e una singolare serie di pitture ”popolari”, è costituito dalle terme suburbane di porta Marina, un edificio sorto in età augustea che sfrutta panoramicamente la posizione dominante, forse da identificare con le terme di M. Crasso Frugi conosciute da un’iscrizione. Il complesso più rilevante di cui si è ultimata l’esplorazione è costituito dalla casa a nord di quella di Fabio Rufo nell’insula occidentalis, detta ora delle ”nozze di Alessandro” da un quadro di iv stile che raffigura Alessandro con Rossane (o con Statira), derivato da un originale contemporaneo all’evento. Al piano terreno la casa, articolata su terrazze con originalità di soluzioni architettoniche e magnifiche vedute verso mare, presenta un giardino con ninfeo, di cui si è recuperata per intero la decorazione della nicchia con splendide pitture di giardino, con maschere, erme, quadretti ornamentali, che costituiscono un esempio tra i migliori del iii stile; nel muro di recinzione del giardino erano riutilizzate terrecotte architettoniche figurate, con miti apollinei, con verosimig
lianza riconosciute pertinenti alla decorazione originaria del ii secolo a.C. del tempio di Apollo danneggiata dal terremoto del 62 d.C. Nell’agro, oltre alla citata villa rustica in località Villa Regina di Boscoreale e alle ville di via Casone nello stesso comune, un notevole insieme è venuto in luce a Terzigno, località Boccia al Mauro, in aree assai compromesse da attività estrattive, con almeno tre ville entro il raggio di 1 km, con parte rustica ben conservata (cella vinaria, fienile, aia, cucina, ecc.) e, in una, un gruppo di fuggiaschi con gioielli personali e del vasellame d’argento. Delle necropoli di età romana, oltre a un nuovo gruppo di tombe di porta Nocera (è stata finalmente pubblicata la vasta necropoli, scavata negli anni Cinquanta), va segnalata fuori porta Nola la tomba a incinerazione di Obellio Firmo, un recinto eretto a spese pubbliche a ridosso di un grande muro di recinzione di un predio con un ingresso ad arco, presso il quale si sono recuperati in impronta i corpi di un gruppo di fuggiaschi; accosto alle mura urbiche, alcune semplici sepolture che le iscrizioni dicono appartenute a militari e pretoriani morti in servizio. Un interessante saggio su via delle Tombe ha rivelato un rialzamento della quota stradale di età augustea, che vale a spiegare la cronologia tarda delle tombe prospicienti. Continuano a tornare in luce sparse testimonianze di una riabitazione dopo il 79 d.C., per lo più povere sepolture in anfore o alla cappuccina e da ultimo anche qualche resto di modeste costruzioni dal 3° secolo in poi.
Più importante la riconsiderazione di ciò che avvenne subito dopo l’eruzione, che ha portato a concludere per un’operazione di recupero condotta dall’autorità centrale nelle aree pubbliche della città, immediatamente seguente l’eruzione; a questo, non agli effetti del terremoto del 62 d.C., andrebbe imputato lo stato di spoliazione in cui lo scavo ha rinvenuto la piazza forense, il teatro, i templi. Il 19° centenario dell’eruzione (1979) ha fornito occasione per un convegno (Pompei e la regione sotterrata dal Vesuvio, Atti 1982; meno ha interessato P. quello per il 250° anniversario dello scavo di Ercolano, nel 1988) nonché per una serie di mostre, sia di oggetti (Pompei A.D. 79, più ridotta la recente Riscoprire Pompei), sia relative alla documentazione, attuale e del passato (Pompei e gli architetti francesi dell’Ottocento; Pompei 1748-1980, da ultimo Italienische Reise, 1989; Alla ricerca di Iside, 1992); per quelle tenute entro gli scavi si utilizza ora la ripristinata casina settecentesca detta Dell’Aquila, essendo l’antiquarium ancora chiuso per restauro. Il nostro augurio come quello del Ministro per Beni Culturali Dario Franceschini che dice : “ Che con questo nuova visione degli Scavi di Pompei il turismo possa ritornare in quei luoghi che hanno fatto grande l’Italia. Abbiamo bandito un nuovo concorso per restauratori, architetti e maestranze che possano far si che con il loro intervento, non capitino più i crolli che sono avvenuti questi ultimi anni “. Intanto che si decide il da farsi per l’Expo, si studia anche un modello di gestione per il Teatro Grande che potrebbe vedere come leader Alberto Veronesi, direttore dell’Opera Orchestra di New York. Al Teatro torneranno le manifestazioni il 16, 17 e 20 settembre con un balletto, la Carmen di Bizet e un’opera, la Boheme di Puccini.