Sei di sangue e di terra come gli altri. Cammini come chi non si stacca dalla porta di casa. Guardi come chi attende e non vede. Sei terra che dolora e che tace. Hai sussulti e stanchezze, hai parole – cammini in attesa. L’amore è il tuo sangue – non altro.
Questa poesia scritta nel 1946, insieme a Le piante del lago, può essere considerato come il vessillo della “poetica del disamore” che da sempre ha contraddistinto Cesare Pavese.
In maniera sorprendentemente decisa e diretta, quasi imparziale, rispetto al caos di riflessioni che genera, c’è la descrizione di tutti i lineamenti di una delusione addolorata.
Nella vita di ognuno c’è il momento in cui tutto si trasforma. Fino a quell’attimo eri un altro. Prima di questo, quella persona che ti passa davanti, è solo un fantasma, un volto che non si tatua nella mente, una come un’altra. Il nulla.
Poi piomba quel momento, quell’attimo, quell’istante, dove tutto inizia a girare in senso contrario a come ha fatto finora. Il senso non c’è.
Quella stessa persona si fissa nella mente, ti dipinge l’anima. I tuoi sorrisi diventano imprescindibilmente legati a quella visione. Infetta tutti d’inesistenza ai tuoi occhi. Quel velo non appartiene più a lei, ma a tutto il mondo fuori che non ha le sue forme di luce.
La folla sarà solo un mucchio di fantasmi, e inizi a esserlo anche tu.
Ti contagerà del virus dell’ossessione. E da quel momento quello che eri non esisterà più.
Ruberà il bambino che c’è in te per giocarci fino a quando vorrà. Potrà farti del male, e di certo in un modo o nell’altro lo farà. Vivrai quei giorni come il segno di un sogno, e quando, da uno scrigno di dubbi taciturni, si sgretolerà quella pace, a metà strada tra il fuggire e il restare, quello stesso estremo anelito di passione saccheggerà i tuoi ricordi, lasciando sul comodino un carillon di illusioni.
Il sangue, il sudore, i baci, la carne, l’energia, i dialoghi, l’amore e le speranze saranno vascelli senza vele, persi in una tempesta d’indifferenza.
E sarà un oceano di silenzio a separare quei pensieri confusi e nulli.
Ma l’aria quella no, a respirarla si sarà sempre entrambi.
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