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Perché si definisce “giudizio salomonico”?

Il giudizio salomonico, ovvero esemplare per giustizia e imparzialità, è definito tale grazie alla figura di re Salomone, terzo re d’Israele, vissuto nel IX secolo a. C., figlio e successore di David. Uomo colto, autore di salmi e dotato di proverbiale saggezza, fu reggente di un regno durato ben quarant’anni, considerato dagli ebrei come un’era ideale.

Il famoso giudizio da cui è derivato il modo di dire trae origine da un episodio che ha come protagoniste due donne e un bambino.

Queste due donne, probabilmente due prostitute che vivevano insieme ed erano entrambe madri da poco tempo, si presentarono davanti a re Salomone con un bambino. Sia l’una che l’altra asseriva e giurava di essere la vera madre del neonato che avevano con loro e chiedevano al re di porre fine alla questione affidando il bimbo alla legittima genitrice.

Nel corso della notte precedente, in casa delle due madri un neonato era morto e una delle due donne aveva sostituito il corpicino senza vita con quello del bambino vivo rivendicandone la maternità.

Non sapendo quindi chi stesse mentendo, Salomone minacciò di tagliare in due il bambino, affidandone poi una parte a ciascuna delle presunte madri.

Dinanzi a questa crudele soluzione, la vera madre si arrese e, pur di tenere in vita il suo bambino, negò di averlo generato e si dichiarò pronta ad affidarlo all’altra donna, la quale invece non batté ciglio dinanzi alla preannunciata morte della creatura.

Questo bastò a Salomone per capire con certezza chi fosse la vera madre, la quale si vide finalmente restituire il figlioletto dalle mani stesse del saggio sovrano. 

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