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Perché si dice “avere la coda di paglia”?

Questa è un’espressione molto diffusa nella lingua italiana e si usa per indicare qualcuno che, consapevole di essere in difetto, è sempre sospettoso e timoroso di essere scoperto insieme alle sue malefatte.

Una delle probabili origini di questa espressione è una favola di Esopo in cui si racconta di una volpe che perse la coda in una trappola. Vedendosi privata di una così elegante caratteristica, la volpe cadde in una profonda tristezza tanto che gli altri animali, impietositi da tanta sofferenza, decisero di realizzarle una finta coda di paglia. 

La coda era di una fattezza tanto riuscita da sembrare reale ed era così bella che della sua esistenza ne vennero a conoscenza anche i contadini. Questi, per evitare che la volpe facesse razzie tra le loro galline, iniziarono ad accendere fuochi vicino ai pollai, e così, la furba volpina se ne sarebbe tenuta lontana per non correre il rischio di bruciarsi la coda. 

Un’altra ricostruzione dell’origine di questo modo di dire ci viene suggerita da Ottavio Lurati nel dizionario dei modi di dire. Esso deriverebbe da un’antica pratica medievale che consisteva nell’umiliare i nemici sconfitti o i condannati attaccando alle loro terga una coda di paglia e facendoli sfilare per la città con l’eventualità che qualcuno, per ulteriore beffa gliela incendiasse.

La presenza della coda era già di per sé umiliante non solo per l’insolito accostamento tra uomo e coda ma soprattutto perché con essa la persona veniva declassata allo stato di animale. Se a questo si aggiungeva la camminata per la città con la quale il  reo veniva ulteriormente offerto al pubblico scherno possiamo comprendere quanto denigrante fosse questa pratica e come mai l’espressione “avere la coda di paglia” faccia riferimento al colpevole di un misfatto.

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