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Brigante o emigrante? Un lettore scrive le sue riflessioni alla redazione

DiThomas Scalera

Giu 18, 2016

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Caro Andrea,
mi hai chiesto di provare a scrivere qualcosa sul tema Briganti o Migranti e spero anche di riuscire a dimostrarti che la definizione di ‘futurista’ non si addice al mio attuale stile di vita.
Spesso mi sono ritrovato, analizzando la mia esistenza e le mie conoscenze, a quel bivio che è il tema di queste riflessioni: se essere brigante o migrante, se scegliere una vita ai limiti dell’illegalità pur di amare la mia terra o se partire per andare lontano e custodire questo amore nel ricordo delle mie origini. A lungo ho rimandato la decisione, volevo capire cosa significasse sia l’uno che l’altro, se potessero essere una soluzione valida per realizzare le mie ambizioni, i miei sogni, il mio ideale di vita. Quelle cose che tempo fa ci risucchiavano in infinite chiacchierate senza tempo, l’ipotetico mondo in cui ci sarebbe piaciuto vivere o che ci sarebbe piaciuto costruire. Così, in questi anni, ho provato ad essere sia l’uno che l’altro, giungendo a conclusioni del tutto personali. Mi importa di più riflettere con te sulle motivazioni, sulla strada che porta a questa alternativa, sui perché in questo angolo di mondo che ha avuto tanti nomi, da Magna Grecia a Terronia, intere generazioni abbiano preferito delinquere o espatriare. Interi secoli di abitudini, dominazioni, invasioni, guerre e quant’altro, dato che da queste parti tutto è possibile e di tutto è successo. Eppure, mio caro, da quando ho smesso di considerarmi un prodotto storico, considero folli entrambe le scelte.
Riuscire a trovare il filo conduttore, capace di tenere unita la trama di tali pensieri sul mio essere, non mi risulta semplice. Magari i miei processi logici/illogici mentali sarebbero più adatti all’analisi clinica, tuttavia cercherò di spiegarmi.
La mia esperienza come ‘migrante’ è simile a quella di molti altri, un avvocato mi disse ‘Prendi tutto ciò che puoi e poi scappa!’ ed è quello che ho fatto. Ho preso per buono qualsiasi cosa mi venisse proposto, qualunque persona mi venisse presentata, qualsiasi collega e luogo e orario di lavoro. Ho preso per buoni lo schiavismo operaio, le polveri sottili, clima, cibo. Lingua, abitudini del tutto diverse dalle mie. Insomma la solita…e poi ne ho conosciuti così tanti di ragazzi come me. Tutti con grandi occhi nostalgici e risate improvvise. Più stanchi di me, più poveri e più invisibili. Alla fine di tutto però, l’unica cosa che mi rimaneva era una domanda ‘Ma che ci faccio qui?’, ti dicono l’esperienza. Praticamente devi provare sulla tua pelle che la civilizzazione impone schemi violenti, antinaturali e potenzialmente dannosi, in sintesi che è una merda, e che tu, morto di fame che viene dai boschi, devi adeguarti o soccombere? Che devi ripetere più forte, a voce alta, tutti i motivi per cui eri partito? Già, agognavo la Libertà, ma può essere libero chi non può rimanere in casa sua?
Così sono ritornato in patria! Non immaginare squilli di trombe o feste, non ce ne son state. Anche se continuo ad essere trattato come un principe. Avrò subito centinaia di interrogatori sul prima, dopo e durante, ‘e mò che faj?’ non so, se mi va male scavo una buca e mi seppellisco. Effettivamente anche il rientro ha avuto la sua crudezza, immobile, nulla era diverso. Mentre prima non riconoscevo nulla, qui tutto mi apparteneva e continuava a non piacermi quel senso di abbandonata trascuratezza che assumono i luoghi e la luce che li anima. Appena rientrato sono sprofondato nelle innumerevoli espressioni del degrado, gli alcolici, stare sempre per strada, apparare la giornata e cose del genere. Ad un certo punto però mi sono sentito logorato, stanco e demoralizzato. Quando volevo cominciare qualcosa trovavo mille intoppi e difficoltà e mi illudevo che stringere i denti fosse la soluzione migliore. Non credo d’esser mai stato un brigante, forse mi hanno educato troppo bene, forse non ne possono più esistere, forse è un brigante chiunque agisca al fuori della legge ed in questo caso sarebbero troppi. Ideologicamente si potrebbe vivere al di fuori della legge, ma nel concreto, ognuno, sia onesto che malvivente, col suo agire interno alla struttura sociale finisce con l’essere lo strumento stesso della legge, una sua espressione. Ne consegue che la mia mossa successiva sarebbe stata l’allontanamento dalla struttura, l’autoemarginazione.
L’esilio volontario è sempre un qualcosa di triste, a me è servito per chiarire la sfumatura tra reale ed immaginario, tra azione e pensiero, e giungere alla conclusione che agire, seppure in maniera illogica e sconsiderata, ha più valore di ogni Idea ponderata, di ogni utopica illusione. Per capirci, amo lasciarmi trascinare in fantastiche civiltà basate su eguaglianza, libertà, amore e tutte queste belle parole. Mi perdo nell’elaborazione mentale di possibilità architettoniche, sociali, funzionali, non dannose nella realizzazione. Al contempo però cerco di investire il mio tempo presente non nell’elaborazione teorica ma nell’attuazione pratica di uno stile vita a consumi ridotti (N.B. anche io consumo e produco rifiuti, uso gas ed elettricità) e a contatto con la natura. Che poi non significa nulla di così speciale, è gustarsi il momento reale, come il sole che mi scalda in questo istante, il cielo azzurro sopra di me, cinciallegre e tortore che compongono le loro melodie, gli alberi che mi circondano ed un mandarino carico di frutta, la pancia piena di quelli che per me sono i cibi più buoni che abbia mai mangiato, il bicchiere di vino novello e preoccuparsi affinché tutto ciò continui a sopravvivere. Contemporaneamente la consapevolezza che se anche dovessi chiudere gli occhi in questo istante per sempre, il pianeta continuerà inevitabilmente il suo moto di rotazione e rivoluzione, che gli uomini potrebbero giungere un giorno a devastare l’habitat nel quale vivono ponendo fine a se stessi, ma ciò non può preoccuparmi perché posso cambiare soltanto me stesso non gli altri.
Sicuramente mi farai notare che ciò che dico potrebbe sfumare nell’alienazione, nell’ignavia, nel paradosso. Nella realtà dei fatti non si può uscire dalla struttura sociale (cfr. sopra dove dico ‘allontanamento’) e chi dovesse credere d’esserci riuscito finirebbe col diventar pazzo. Non si possono neanche ignorare i suoi meccanismi e le sue regole, anzi è proprio conoscerle che può permettere di scardinarle, sovvertirle, modificarle in qualcosa che si reputa migliore. Migliore per cosa? Per vivere con piacere, per vivere al meglio. Cosa definisce il meglio? Il piacere che ci arrecano le nostre azioni. Quindi in una società contemporanea interamente rivolta al panico, alle crisi, all’economia, ai consumi, alle guerre, a sottolineare le ingiustizie, alla speculazione, alla corruzione, alla polemica etc. etc. non ho potuto far altro che prenderne le distanze, ciò non mi appartiene e non ne posso essere responsabile, non voglio immischiarmi in qualcosa che non è mio ma di cui vogliono se ne parli a tutti costi. Ad esempio l’attuale situazione politica italiana, ciò che succede è una marea di dichiarazioni e dibattiti, in ogni casa, ogni cittadino si esprime quotidianamente, il premier di turno ogni due ore rilascia un comunicato stampa. In pratica molti si sentono coinvolti, nonostante nella realtà delle loro vite tutto sia statico ed abitudinario, nonostante in Italia (ad eccezione del Fascismo) non ci sia mai stata una Rivoluzione. Mentre credo che il popolo dovrebbe dire a questi personaggi che in una democrazia rappresentativa gli eletti sono obbligati a lavorare senza sfogare sull’elettorato i loro battibecchi in aula, che dovrebbero limitarsi a fare il loro mestiere (visto che l’hanno scelto) e farsi giudicare dal prodotto del loro lavoro e non dalla retorica. Perché se alla fine dei conti il popolo deve sorbirsi quotidianamente questo sterile chiacchiericcio e preoccuparsi di risolvere problemi per i quali aveva già delegato qualcun altro, votandolo, l’intera democrazia rappresentativa, lo Stato ed i suoi Organi (regioni, province, comuni), non avrebbe più utilità, sarebbe inutile (lo è). Vogliamo salvarla? Io rimarrei in campagna a farmi i fatti miei, ma se proprio si deve salvare l’Italia e l’Europa e l’intero sistema allora l’unica soluzione è affidarsi a professionisti. Nostri coetanei che come noi hanno studiato e che in politica, seriamente, siano disposti a lavorare, a mettere in pratica le conoscenze, etc….cado sempre nelle illusioni….
E così…mio malgrado indosso gli abiti del diverso, sovversivo, reietto. In un mondo in cui è diventato illegale conservare le sementi di un pomodoro.
Caro Andrea non credo sia ciò che ti aspettavi, clamorosamente uscito fuori traccia. Beh ho preferito parlarti di me, spero non ti dispiaccia. Ti avevo accennato al fatto che ultimamente non riesco a scrivere nulla di compiuto, né al non essere autoreferenziale.

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Di Thomas Scalera

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