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Goldrake, i suoi primi 35 anni e il parallelo con Foscolo e il Faust di Goethe

A 35 anni dal suo approdo in Italia (04.04.1978-04.04.2013), nato dal genio del disegnatore giapponese Go Nagai, è arrivato il momento di mettere le cose in chiaro su una serie a cartoni animati che da alcuni è stata considerata solo “roba per ragazzi” ma che da molti, quasi tutti quelli della generazione nata tra il 1965 ed 1975 e non solo, può essere considerata il mezzo tramite il quale hanno potuto conoscere o apprendere, nei primi anni della loro vita, i fondamentali valori del coraggio, della giustizia, dell’onore, dell’amore e della solidarietà verso chi è più debole. Avrete capito che sto parlando di Goldrake.

Nel 1975 nasceva, dalla matita di uno dei più grandi disegnatori della Terra, un robot destinato a fare breccia nei cuori degli adolescenti d’Italia e del mondo intero. Le 74 puntate, di circa 20 minuti ognuna, dalle quali è composta l’intera serie, arrivarono nel nostro Paese con il nome di “Atlas Ufo Robot”.

Nel resto del pianeta, invece, la serie mantenne il nome originale giapponese di “Ufo Robo Grendizer”. A dare vita e anima a Goldrake furono le matite ed i pennelli di Go Nagai, lo stesso padre artistico di personaggi indimenticabili come “Mazinga Z”, il “Grande Mazinga” e “Devil man” per citarne soltanto qualcuno. La produzione venne realizzata presso lo studio di produzione Toei Doga. I direttori dell’animazione furono due: Kazuo Komatsubara per i primi 40 episodi e Shingo Araki per i rimanenti 24. Quando, verso la metà degli anni ‘70 il robot giapponese fece la sua comparsa sugli schermi televisivi italiani fu un vero putiferio. Erano gli anni in cui, dopo un incontrastato dominio americano da parte di Walt Disney e Hanna&Barbera, il Giappone sbarcava con le sue produzioni anche in Europa e negli Stati Uniti, mostrando una superiorità schiacciante sotto il profilo tecnico dell’animazione pura ed una enorme capacità innovativa sotto il profilo della regia nei films a disegni animati: una vera e propria ventata di aria nuova che non si fermava solo ai lati tecnici, ma penetrava all’interno dei contenuti sociali e morali. Per la prima volta i personaggi fantastici venivano riprodotti senza veli di ipocrisia, proponendo problemi quotidiani reali e realistici: gli eroi di queste storie litigano, fanno degli errori, hanno un profondo senso dell’amicizia e del valore, sono fieri ed orgogliosi ma allo stesso tempo si commuovono di fronte ad un panorama o ad un fiore senza correre il rischio di sembrare delle “mammolette”.

Anzi, la dignità e la coerenza che li accompagnano li rendono degni del rispetto di tutti. La cultura del sol levante, insomma, estremamente legata com’è alle proprie tradizioni medievali, venne esportata nel mondo contrapponendosi a quella americana che fino ad allora non aveva avuto rivali. Il primo personaggio ad approdare in Italia fu “Heidi”, la bambina dei monti, e dopo di lei continuarono ad arrivarne altri, senza sosta. Lo “stivale”, come moltissimi altri paesi nel mondo, fu letteralmente invaso dai “cartoni animati” (nome improprio derivante dal termine inglese cartoon) provenienti da Tokyo, con un riscontro di pubblico enorme. Milioni di ragazzini, ogni giorno, aspettavano la trasmissione “SuperGulp!” in onda sul canale di Stato, la Rai, per assistere alle avventure di Actarus e del suo robot. Si trattava degli anni in cui, tra l’altro, la televisione faceva il suo ingresso nelle case di tutti, ed i genitori stanchi da tanto lavoro cominciavano ad usarla come una sorta di baby-sitter, lasciando per ore davanti al piccolo schermo i loro pargoli (abitudine mai sopita, pare).

Quello che fece Goldrake in quelle condizioni fu di sostituire i tradizionali libri delle favole, facendo vivere ai suoi fans emozionanti avventure che mescolavano ai temi fantascientifici e spaziali quelli classici del coraggio, della giustizia e dell’amore. Probabilmente come il poeta Ugo Foscolo, nell’ottocento poté apprendere i valori della morale attraverso la bramosa lettura del “Faust” di Goethe, così moltissimi adolescenti di fine novecento hanno potuto apprendere gli stessi valori attraverso le avventure di Goldrake. Alla luce di queste considerazioni, possiamo oggi affermare che il popolarissimo eroe d’acciaio (in realtà era fatto di un metallo extraterrestre chiamato Green, da cui Grendizer) disegnato da Go Nagai ha avuto ed ha un’importante funzione sociologica ed educativa. Forse per l’apparente banalità del soggetto o perché per anni il mondo accademico-scientifico si è rifiutato di accettare e studiare il ruolo dei disegni animati nello sviluppo antropologico, pochi fino ad ora si sono assunti la responsabilità di affermare l’importanza che questi personaggi della fantasia. E’ forse il segno dei tempi moderni che ci porta adesso a fare di un disegno animato degli anni ‘70 un caposaldo della sociologia e dell’umanistica moderna? Certo la tesi qui esposta è sicuramente rivoluzionaria e non mancherà di contrasti e precisazioni. Un dato di fatto, però, è incontestabile: Goldrake rappresenta un modello di vita, un esempio positivo da seguire e perseguire e, come tale, va riconosciuto, apprezzato e soprattutto rispettato.

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Di Thomas Scalera

Il Guru

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