• Lun. Apr 29th, 2024

Le mutilazioni genitali femminili, un problema ancora irrisolto

Le mutilazioni genitali femminili (MGF) costituiscono una violazione dei diritti umani riconosciuta a livello mondiale e tali pratiche sono ancora molto diffuse tra cristiane, musulmane ed ebree. In un range d’età compreso tra i primi giorni di vita fino ad arrivare all’età adolescenziale e adulta le mutilazioni genitali rappresentano una piaga sociale molto seria tra le donne dell’Africa subsahariana e dei paesi mediorientali e molti studi hanno evidenziato più volte i traumi fisici come rapporti sessuali dolorosi, infezioni, difficoltà ad urinare, sterilità, complicazioni durante il parto e psicologici quali depressione e attacchi di panico che hanno interessato le donne che hanno dovuto subire questo tipo di intervento non escludendone la particolare pericolosità che ha in molti casi portato alla morte dei soggetti interessati. Va sottolineato che le mutilazioni genitali non hanno un’origine islamica non solo perché esse venivano già praticate prima dell’avvento dell’Islam, ma anche perché esse sono in netto contrasto con ciò che è scritto nel Corano e in particolare gli hadith (i detti del Profeta Muhammad) ci raccontano dell’importanza della soddisfazione sessuale sia per l’uomo che per la donna. E’ quindi evidente come con il passare dei secoli il Libro Sacro sia stato sottoposto a diverse reinterpretazioni anche distorte e come il patriarcato abbia avuto un ruolo di rilievo nella diffusione del problema. Già la celebre scrittrice, psichiatra e attivista egiziana Nawal el-Sadawi (1931-2021) metteva in guardia da tale barbarie denunciandone la crudeltà e i rischi essendone essa stessa vittima all’età di sei anni e nella sua opera autobiografica “Le mie pagine… la mia vita” (“Awraqi… hayati”) riassumeva in queste poche righe il dramma cui fu costretta a vivere: “…E’ la ferita più profonda del mio essere, dell’anima. Non dimenticherò quel giorno dell’anno 1937. Sono passati cinquantasette anni, ma nei miei ricordi è come se fosse ieri”.

Le mutilazioni genitali femminili sono dunque molto diffuse in paesi come Nigeria (dove secondo i dati più recenti il fenomeno è addirittura in aumento), Somalia, Gibuti, Guinea, Mali, Kenya, Eritrea, Etiopia, Egitto, Sudan, Etiopia, Gambia, Mauritania, Burkina Faso, Ciad, Costa d’Avorio, Guinea Bassau e Liberia e a causa dei flussi migratori è diffusa anche in Italia e in altre parti del mondo. Tali pratiche vengono eseguite dalle donne anziane dei villaggi che credendo di fare del bene costringono anche con la forza le povere malcapitate a subire questo intervento così invasivo. Essa viene dunque praticata in aree segnate dalla povertà e dall’analfabetismo e diversi studi hanno dimostrato come con tale pratica gli uomini mirino a controllare la sessualità femminile in un contesto alimentato dal patriarcato e dalla misoginia all’interno del quale le donne sono un mero oggetto di scambio. Esse rappresentano il capitale simbolico che va protetto onde evitare che venga infangato il buon nome della famiglia.

Esistono tre diverse tipologie di mutilazione genitale femminile a seconda del grado di gravità e cioè: la circoncisione che rappresenta la forma meno drastica che comporta l’incisione del prepuzio del clitoride insieme a una parte o l’intera parte delle piccole labbra;  la clitoridectomia costituisce la forma più diffusa e comporta la rimozione integrale del clitoride insieme a una parte o l’intera parte delle piccole labbra; ed infine l’infibulazione (dal latino “fibula” – spilla utilizzata per agganciare la toga romana – che veniva usata per impedire i rapporti sessuali tra schiavi. Essa veniva inserita tra le piccole e le grandi labbra delle donne e attraverso il prepuzio degli uomini. Ciò garantiva la fedeltà delle schiave impedendo loro di rimanere incinte, in quanto le gravidanze avrebbero costituito un ostacolo al loro lavoro), rappresenta la forma più estrema di tale pratica perché comporta il taglio del clitoride, delle piccole labbra e delle grandi labbra. L’intervento viene di solito praticato in condizioni igieniche precarie e con strumenti molto rudimentali quali lame di rasoio, coltelli, forbici e pezzi di vetro e senza alcun anestetico. A seconda delle usanze locali la ferita viene cucita con filo di seta o con spine d’acacia e per favorire la cicatrizzazione vengono impiegate sostanze quali il mal mal – un impasto di zucchero e gomma, il tuorlo d’uovo e zucchero, oppure un preparato a base di succo di limone ed erbe varie. Per arrestare eventuali emorragie vengono bruciate delle erbe aromatiche tradizionali e della linfa essiccata che sono causa di tremende infezioni.  

In Italia l’illegalità di questa pratica è sancita dalla Legge Consolo n. 7/2006 che vieta qualsiasi forma di mutilazione genitale femminile prevedendo pene fra i 4 e i 12 anni di reclusione e che grazie al principio dell’extraterritorialità ha efficacia anche all’estero. Tuttavia, secondo la cronaca più recente sono noti alle autorità i casi di figlie di immigrati risiedenti in Italia che sono state portate dai genitori nei paesi di origine per eseguire l’infibulazione.

Secondo un’indagine dell’EIGE (Istituto europeo per l’uguaglianza dei generi) del 2021 è stato stimato un aumento di diagnosi di MGF del 40% rispetto al 2016 e i numeri potrebbero aumentare in quanto tali interventi vengono eseguiti in segreto e di conseguenza non vengono denunciati. Inoltre secondo un’altra indagine condotta dall’istituto di ricerca italiano Neodemos la percentuale di donne mutilate supera l’80% tra le somale, le sudanesi, le maliane e le burkinabé.

Diverse organizzazioni quali l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l’UNESCO, l’UNICEF insieme a diversi gruppi femministi che lottano per il rispetto dei diritti umani sono attivi nel contrastare le mutilazioni genitali e uno degli obiettivi previsti dall’Agenda 2030 è quello di arrivare alla sua totale eliminazione.

Il 6 febbraio in occasione della Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali istituita dalle Nazioni Unite per cercare di sensibilizzare e far riflettere su una tradizione che viola i diritti umani ha visto intervenire diverse associazioni con iniziative e dibattiti tra queste l’Associazione italiana donne per lo sviluppo (Aidos) affronta il problema con un approccio trasformativo affermando che: “L’autonomia corporea, l’autodeterminazione e la libertà da ogni manifestazione della violenza di genere sono condizioni fondamentali per l’empowerment di donne e ragazze, per il pieno godimento dei loro diritti e per il raggiungimento dell’uguaglianza”.

USCITA A1 CAIANELLO VIA CERASELLE TUTTI I GIORNI DAL LUNEDI AL SABATO ORARIO CONTINUATO 08:00 20:30 DOMENICA 08.00 13.00
Documento senza titolo

Sostieni V-news.it

Caro lettore, la redazione di V-news.it lavora per fornire notizie precise e affidabili in un momento lavorativo difficile messo ancor più a dura prova dall’emergenza pandemica.
Se apprezzi il nostro lavoro, che è da sempre per te gratuito, ti chiediamo un piccolo contributo per supportarci. Vorremmo che il vero “sponsor” fossi tu che ci segui e ci apprezzi per quello che facciamo e che sicuramente capisci quanto sia complicato lavorare senza il sostegno economico che possono vantare altre realtà. Sicuri di un tuo piccolo contributo che per noi vuol dire tantissimo sotto tutti i punti di vista, ti ringraziamo dal profondo del cuore.

Di Claudia Cozzolino

Laureata in Lingue e Civiltà Orientali presso l'Università degli Studi di Napoli "L'Orientale", area di specializzazione Vicino e Medioriente. Ricercatrice e traduttrice freelance.

error: Content is protected !!