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COME SARA’ IL PRECARIATO SCUOLA – A SEGUITO DELLA RECENTE SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA

DiThomas Scalera

Dic 3, 2014 #precari

precariscuola

I pochi casi ricorribili dinanzi alla Magistratura Italiana

La recentissima sentenza della Corte di Giustizia Europea (Mascolo/MIUR+ altri), ha provocato un gran fermento tra gli operatori del diritto, oltre che tra il personale docente ed ATA, bistrattati dalla legislazione e giurisprudenza italiane, in netta contrapposizione con la normativa comunitaria, riguardo ai contratti a termine nell’ambito del pubblico insegnamento.

Secondo la Corte Europea, la normativa italiana che disciplina la materia, poteva essere ritenuta legittima, se non per un evidente abuso consentito nell’utilizzare i rinnovi dei contratti a tempo determinato, dovendo i Magistrati italiani, da ora in poi, seguire i parametri di riferimento riassunti in sentenza.

La prima conclusione, dunque, è quella che vede esclusa l’applicazione diretta sul nostro Territorio della pronuncia della Corte di Giustizia Europea.

La novità non è di poco conto, atteso che ancor prima dell’intervento europeo, i Magistrati Italiani erano costretti ad agire nel “blindato” sistema normativo, secondo cui il precariato nelle scuole non poteva essere stabilizzato per sentenza, perché – da un lato – la previsione massima dei 36 mesi “di tempo determinato” si applica al settore privato ed espressamente negato al settore scolastico con la legge n. 70/2011; dall’altro, perché la Legge n. 124/1999 ha previsto il possibile ricorso alle supplenze annuali “in attese delle procedure concorsuali”, come unica condizione di assunzione a tempo indeterminato.

La legge nostrana prevede, infatti, che per assumere la docenza, deve esservi un concorso pubblico, ed in mancanza si ricorre alle supplenze; ma i supplenti vengono attinti da una graduatoria formata da docenti che tali sono già “di diritto”; la successione di supplenze da parte di uno stesso docente ne comporta l’avanzamento in graduatoria e può condurlo all’immissione in ruolo, che non avviene con facilità, visto supplenze che durano da oltre 70 mesi (sic!).

La Corte ha ravvisato, dunque, il mancato allineamento ai principi europei per il metodo della “speranza” di essere assunti a tempo indeterminato, possibile al verificarsi della condizione concorsuale, assoggettati, nelle more, al macchinoso e fantasioso gioco di fasce e graduatorie, che ha consentito all’intero apparato scolastico e dirigenziale, di poter asservire precari (ossia, manodopera a basso costo) per interi anni.

Tale eversiva condizione, che ha reso possibile stipulare contratti a termini nel settore scolastico, è stata ritenuta non trasparente, né verificabile né obiettiva la “motivazione” del termine apposto ai contratti ai docenti.

È proprio l’assenza di questa “obiettiva ragione” che ha facilitato l’abuso (incontrollato) nel settore, privando i docenti precari della minima tutela, che esiste (lo ripetiamo), invece, nel settore privato da oltre 10 anni.

Ragioni obiettive

La Corte Europea sostiene esservi, invece, una giusta ragione obiettiva, quando è riconducibile a politiche sociali (maternità o simili condizioni), tanto da dover sgomberare il campo da tante illusioni, ritenendo che le supplenze di breve durata, sono il linea con principi europei, se necessari a coprire temporaneamente un posto ricoperto da un collega assente giustificatamente.

Allora il giusto criterio per accertare, innanzitutto, l’abuso, è quello del posto vacante e disponibile, che tale non sarebbe se il docente o il personale ATA avesse stipulato un contratto a termine per sostituire un collega infortunatosi ovvero in maternità.

Da qui la ragione del perché la Corte non ha del tutto disconosciuto la presenza di “obiettive ragioni” nelle supplenze scolastiche in Italia, possibili per rispondere, ad esempio, in maniera adeguata alla domanda scolastica.

Come agire in giudizio

Ragionando nell’alveo normativo, c’è da rilevare quanta fatica intellettiva deve essere impiegata per capire il punto da sostenere nelle future causa da promuovere, senza incappare in sentenze ben argomentante che evidenziano quanto non sia adeguatamente provato l’abuso dei contratti a termine.

Pertanto da subito eliminerei ricorsi giudiziari per le supplenze c.d. brevi o che rispecchino una “obiettiva ragione”, prima fra tutte, quelle che rispondono ad un apolitica sociale (sostituzione per maternità, malattia ed altro simile), mentre sosterrei le azioni avverso le supplenze annuali per posti vacanti e disponibili.

ATTENZIONE

Nessun caso è uguale ad un altro; tutto va accertato e provato, avendo ottenuto dalla sentenza europea, secondo il mio modesto avviso, la sola possibilità di trovare una maggiore apertura dei Magistrati Italiani, ai quali è stato consegnato il gravoso compito di capire se vi è o meno “l’abuso” commesso dalla P.A. nel conferire supplenze di lunga durata, accertando, preliminarmente, l’obiettività della motivazione, che tale non sarà se il posto e vacante e disponibile.

Un dato statico conferma l’abuso perpetrato tra il 2006 e 2011, secondo cui il 30% del personale ATA (secondo alcuni Tribunali il 61%), è stato impiegato con il contratto a termine, mentre tra il 13% ed il 18%, il personale docente.

Conclusivamente, atteso che non è stato ritenuta una “obiettiva ragione” l’attesa di un concorso, se il Governo dovesse decidere di assumere nel 2015 una consistente componente del corpo docente (e personale ATA), viene meno anche il presupposto per le future azioni legali, che legittimerebbero solo una richiesta di risarcimento del danno e riconoscimento dell’anzianità accumulatasi e non riconosciuta, unitamente alle mensilità estive.

Non si dimentichi la norma relativa al collegato lavoro (e sue modifiche), riguardo alle decadenze, che pare siano trascurate da alcune comunicazioni di certi sindacati, che addirittura riferiscono (pericolosamente) che basterà una semplice diffida al Ministero per avere la garanzia della stabilizzazione.

Un punto oscuro rimane, invece, la sanzione !

La Corte di Giustizia Europea sottolinea che la normativa europea non enuncia un obbligo generale degli Stati Membri di prevedere la trasformazione in contratto a tempo indeterminato, ma esalta il principio secondo cui all’abuso avutosi per una successione di contratti a tempo determinato, si deve applicare una misura che presenti garanzie di tutela dei lavoratori effettive ed equivalenti al fine di sanzionare l’abuso e cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione.

Si dovrà pertanto dimostrare al Giudice l’abuso, e chiedere tutte le misure sanzionatorie utili perché trovino accoglimento,
secondo il principio della garanzia effettiva ristoratrice dell’abuso medesimo.

Per eventuali chiarimenti, lo studio si offre disponibile a dei chiarimenti gratuiti.

Studio Legale

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Di Thomas Scalera

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