• Mar. Mag 14th, 2024

Condannate rispettivamente a dodici e tredici anni di carcere le giornaliste iraniane Elaleh Mohammadi e Niloofar Hamedi

Elaleh Mohammedi e Niloofar Hamedi erano diventate il simbolo del movimento di protesta iraniano scatenatosi in seguito alla morte di Mahsa Amini. Ma la storia si ripete: Armita Garawand muore dopo ventotto giorni di coma.

L’Iran sceglie ancora una volta la linea dura contro le donne con la condanna di Elaleh Mohammadi e Niloofar Hamedi, le due giornaliste arrestate entrambe nel settembre 2022 e attualmente detenute nel carcere di Evin nel nord dell’Iran, molto noto, tra l’altro, a causa della presenza di detenuti considerati oppositori politici. Sono state condannate a rispettivamente a sei e sette anni ciascuna e a cinque anni ciascuna per aver messo in pericolo la sicurezza nazionale e un anno ciascuna di carcere per propaganda contro il sistema. Secondo il Tribunale della rivoluzione iraniana le giornaliste attraverso i loro reportage sarebbero state le artefici delle proteste originatesi a causa della morte di Mahsa Amini e avrebbero quindi messo in pericolo la sicurezza nazionale del paese. A loro carico anche l’accusa per aver collaborato con gli Stati Uniti.

La condanna avviene a più di un anno dalla morte della ventiduenne iraniana di origini curde Mahsa Amini. La giovane curdo-iraniana arrestata dalla polizia morale il 13 settembre 2022 perché riteneva che la ragazza non indossasse in maniera corretta il velo islamico. Una volta presa in custodia dalla polizia, Mahsa Amini morì in circostanze sospette al Kasra, un ospedale di Teheran. Gli evidenti segni di violenza sul corpo della giovane donna fecero subito pensare ad un duro e violento pestaggio. Tutta la vicenda che aveva profondamente scosso l’intero paese, scatenò ondate di proteste che furono represse nel sangue e che portarono all’arresto di migliaia di persone. Le giornaliste Elaleh Mohammedi e Niloofar Hamedi documentarono ampiamente tutta la vicenda. Quest’ultima fu una delle prime a raccontare la storia della giovane ventiduenne dopo averle fatto visita in ospedale dove era ricoverata in stato di coma. La giornalista che lavorava come reporter presso il quotidiano riformista Shargh aveva anche pubblicato una foto dei genitori di Mahsa Amini che li ritraeva abbracciati durante l’attesa in ospedale. La foto fu subito diffusa sul web e il 22 settembre le autorità fecero irruzione a casa sua e la arrestarono sulla base delle sue denunce.

Elaleh Mohammedi, invece, fu convocata dalle forze di sicurezza iraniane dopo aver seguito il funerale della ragazza a Saqqez, la sua città natale. La giornalista aveva pubblicato un articolo dei genitori della ragazza che chiedevano giustizia per la sorte della loro figlia. Elaleh Mohammedi fu arrestata il 29 settembre 2022 mentre si recava alla polizia.

Dopo otto mesi dal loro arresto il 29 e il 30 maggio 2023 hanno avuto inizio i rispettivi processi di Niloofar Hamedi e Elaleh Mohammedi e il marito della Hamedi in un tweet lamentava il fatto che alle due giornaliste sarebbe stato concesso di vedere i loro avvocati soltanto una settimana prima dell’inizio dei processi.  

Prima del suo arresto, la Mohammadi, giornalista del quotidiano Hammihan, è stata citata in giudizio dal Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche nell’aprile 2020 per “aver diffuso bugie allo scopo di turbare l’opinione pubblica”. L’accusa era arrivata a seguito del suo rapporto sulle condizioni delle donne nella orribile prigione di Qarchak, nella periferia di Teheran, durante la pandemia da Covid-19 e delle proteste in seguito all’abbattimento del volo 752 della Ukraine International Airlines nel gennaio 2020 da parte dell’IRGC. Di conseguenza le è stato proibito di scrivere sui media per un anno. La Hamedi  era famosa per i suoi articoli sulla condizione delle donne in Iran ed è stata una delle prime giornaliste ad aver intervistato la famiglia e l’avvocato dello scrittore attualmente in carcere Sepideh Rashnu.Le due giornaliste oltre ad essere state insignite del premio Golden Pen, lo scorso 2 maggio hanno ricevuto il Premio Mondiale per la Libertà di Stampa UNESCO/Guillermo Cano 2023 e sono entrate a far parte della lista delle cento persone più influenti del 2023 stilata dalla rivista Time.Il coraggio e la tenacia delle due donne insieme alla morte di Jina Mahsa Amini hanno portato ad un punto di svolta. Da allora infatti si stima che il 20% delle donne di Teheran abbia smesso di indossare l’hijab, sfidando in questo modo il regime iraniano. E pare che tale cambiamento non si limiti solo alla capitale del paese. Stiamo quindi assistendo ad un cambio di rotta che è innanzitutto generazionale. Ora le donne in Iran non ci stanno più ad essere continuamente controllate da un regime che le tiene sotto scacco da più di quattro decenni ed il rifiuto di indossare il velo rappresenta l’unico modo per manifestare il loro dissenso nei confronti di una legge in vigore dal 1979, anno in cui il velo è diventato obbligatorio. Oggi le donne hanno dalla loro parte anche gli uomini anche tra gli strati più conservatori del paese e perfino in alcune città considerate tra le più religiose del paese come Qom, Mashhad e Isfahan le donne hanno detto ‘no’ all’hijab. E la questione dell’hijab è solo l’inizio di una serie di diritti che le donne chiedono con forza al regime, quali il riconoscimento di pari diritti nel contratto matrimoniale. Nel frattempo, però, la Repubblica Islamica dell’Iran non mostra alcuna intenzione di tornare sui suoi passi: un progetto di legge conosciuto come legge “Hijab e castità” presentato il 21 maggio 2023, impone nuove sanzioni alle donne che non indossano il velo con multe fino a seimila dollari e la prigione per più di 10 anni per “coloro che… non si conformano o che incoraggino agli altri a farlo”, ciò che gli esperti di diritti umani definiscono come una forma di apartheid di genere. La legge recentemente approvata si basa sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale e sul riconoscimento facciale per controllare che le iraniane ubbidiscano al codice di abbigliamento dettato dalla shari’a, la legge islamica. Il presidente Ibrahim Raisi nega nuovamente le accuse mosse relative alla morte di Mahsa Amini affermando che non è morta per le violenze subite, ma per cause naturali. Intanto la storia si ripete: lo scorso tre ottobre Armita Garawand, un’adolescente di sedici anni pare sia stata picchiata in metropolitana dalle agenti donne della polizia morale perché non indossava correttamente il velo. La ragazza che era in coma ormai da circa un mese all’ospedale Fajr di Teheran, è morta. Il regime smentisce l’ipotesi delle violenze usate contro la ragazza.    

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Di Claudia Cozzolino

Laureata in Lingue e Civiltà Orientali presso l'Università degli Studi di Napoli "L'Orientale", area di specializzazione Vicino e Medioriente. Ricercatrice e traduttrice freelance.

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